RAI 2°
II labirinto dell'arte:
come si esce?
“Guai ai critici dell'arte, dopo lo "splash" nel Fosso Reale
di Livorno di una pietra incisa con il Black & Decker da quattro studenti
in vena di scherzi. E allora parlare di arte moderna e delle sue tendenze
diventa un rischio per chi non si richiamasse a modelli culturali del passato
e che non rivivesse attraverso il proprio linguaggio artistico una cultura e
una civiltà che hanno lasciato dei segni e dei messaggi nel corso dei secoli.
Quando l'Ecclesiaste ammonisce che "non c'è nulla di nuovo sotto
il sole", vuol far comprendere che nell'esperienza dell'uomo,
dell'umanità, è già avvenuto tutto quello che viviamo e osserviamo ai nostri
giorni.
Soltanto chi riesce a calarsi in questo grosso calderone rappresentato
dal passato e ha la capacità di attingere cose non conosciute da altri può
dirsi originale e viene salutato come un genio ed esaltato come tale.
Non vogliamo qui tirare in ballo il buon Platone che aveva piazzato in
un luogo ben preciso dello spazio, l' “iperuranio", tutte le idee che poi
dalla Terra gli uomini cercano di recuperare e riutilizzate, perché poi il
discorso diventerebbe troppo pesante, un mattone, come si dice in simili
casi.
Ma è il caso di chiedersi se parlando di argomenti come il labirinto
non si vada a ritirare fuori un modello che appartiene alla spiritualità umana
da sempre.
La mitologia greca ha individuato nella vicenda di Dedalo, il grande
architetto chiamato a costruire una "gabbia" per il mostro
Minotauro, realizzatore del labirinto, un simbolo preciso della capacità
dell'uomo di divenire prigioniero di se stesso se non trova
la possibilità di Utilizzare la ragione, che gli consenta di trovare la
strada giusta per uscire dall'intrico di strade, stanze e corridoi che
costituiscono il labirinto. Quando Teseo, viene chiamato a mettere fine
all'inutile olocausto di vittime innocenti offerte al Minotauro, troverà
appunto nella ragione, identificata nel filo di Arianna, la sua forza per
portare a termine l'impresa.
L'uomo da allora è sempre perso in un labirinto, esposto a mostri più
o meno terribili come la guerra, la fame, la peste, la morte; da allora cerca
disperatamente di trovare la via di uscita. Nell'impossibilità, spesso, di trovare
al momento giusto il proprio filo di Arianna, ricorre allora a manifestazioni
dello spirito di vario tipo: l'espressione artistica attraverso la pittura,
la scultura, la letteratura, la musica, la danza, e così via, fino alle più
moderne e attuali arti visive in cui l'immagine è andata acquistando la
preminenza rispetto alla parola.
Si assiste così alle imprese di tanti novelli Icaro che si avventurano
nell'impresa di "volar senza ali", come direbbe Dante, o di volare
con "ali attaccate con la cera" che si scioglie al calore del sole
verso cui si tenta invano di indirizzarsi alla ricerca dell'assoluto. E si
precipita ahimè miseramente, anche se molti sono coloro che riescono a volare
o a realizzare il proprio sogno di uscire finalmente dal labirinto.
Ci proviamo anche qui, ora, da Via De Amicis ad uscire dal labirinto di
parole in cui abbiamo voluto cacciarci, mettendo punto al nostro volo, prima
che le ali vengano dissolte dal sole.
Un discorso che porta lontano e che lasciamo a mezzo in attesa di
avere a disposizione un filo di Arianna che ci conduca all'uscita dopo aver
ucciso i mostri che tormentano la nostra esistenza.
Un giovane artista, Stefano Ianni, 20 anni, originario de L'Aquila, ha
allestito quest'estate a Montesilvano una mostra di pittura - scultura -
grafica - fumetti, dal titolo emblematico "Cavallinità e Labirinti".
È un Icaro anche lui?
Sentiamo dalle sue parole il significato della sua attività artistica.
Intervista a
Stefano Ianni Trasmissione
RAI 24 sett.
D. - Il labirinto
ha sempre rappresentato per
l'uomo la insondabilità dello spirito ci si perde e ci si ritrova soltanto coi della ragione. Perche una mostra sui labirinti, Stefano?
R. - II labirinto rappresenta la visione simbolica della vita: un
insieme di strade interrotte, continui percorsi senza uscita da cui si può
uscire dall'unica porta possibile, la ragione. Questa mostra sta a
simboleggiare il tentativo di cercare di uscire da una serie di insoddisfazioni
e di sconfitte esistenziali attraverso la ragione.
D. - Che significato ha il termine Cavallinità in relazione al discorso
sui Labirinti.
R. - La visione del cavallo è palesemente idealizzata, comporta ciò un
insieme di vincoli simbolici come l'armonia, la libertà e la dinamicità.
Quest'immagine del cavallo idealizzata funge da elemento chiave per il discorso
dei labirinti, i simboli che essa porta, come ad esempio quello della libertà,
sta a significare il tentativo di uscire dalla routine dei problemi della vita.
D. - Un artista si può esprimere in tanti mo di, perche ha scelto tra
le altre forme di linguaggio il fumetto, una delle più immediate manifestazioni
di comunicazione attraverso immagini e parola scritta?
R. - È da premettere che il fumetto è stato uno dei tanti modi per
esprimermi e non di certo l'unico. Rimane, comunque, a mio parere, una tappa fondamentale
per ogni artista per esprimere ironicamente
ed in modo spicciolo le sue impressioni sulla vita e sui fenomeni di tutti
i giorni.
D. - Che
spazio c'è
secondo lei per riuscire a trasmettere messaggi comprensibili agli altri,
in una società
dove è
sempre più
difficile riuscire a comunicare e ad aggregarsi senza
sollecitazioni collettive?
R. - Innanzitutto c'è bisogno di uno spazio proprio, personale, possibilmente uno studio appartato e silenzio, dove poter lavorare
o preparare un certo messaggio.
Per quanto riguarda la possibilità di esporre e comunicare questo messaggio, a mio parere, c'è molto bisogno di aperture, a queste iniziative, da parte degli Enti
Locali.
D. - Stefano,
quali sono le tue prospettive future?
R. • Per ora sono iscritto all'Accademia di
Belle Arti a Firenze.
A parte qualche lavoro su
commissione, continuerò, come impegno di fondo, ad
esplorare il mondo della "cavallinità" e dei "labirinti" ed a proporre, di tanto in tanto, gli esiti del mio lavoro in altre eventuali
esposizioni.
Servizio di Carmelita Assetta -in onda il 24.9.1984
“...Vi è, per così dire, una duplicità di percorso
negli esiti che questa mostra consente di ammirare:
su un versante, una pronuncia figurativa che cattura e campisce, ora ad occhio ora specularmente, transiti di paesaggio
e cifre del reale esemplate in forme di
animali, in evocazione di miti, in innesti di mondi equorei e sommersi; su un
altro, il procedere tutto moderno d'un fare tra onirico e visionario che
scompone e astrae, capovolge e riassembla frammenti e reperti in una visione surreale, allusiva, polivalente. Talora, nelle felici impennate, i due percorsi si incrociano a rifondere le urgenze fantastiche con
le tracce, in ogni caso sobrie e attutite, della realtà empirica e fattuale.
Difficile oggi predire quale sarà il territorio in cui Ianni inscriverà gli autonomi sviluppi
della sua arte; difficile antivedere se in lui prevarrà una personalità di
pittore o una vitalità di scultore. Il critico non può che prendere atto, annotare, seguire. E allora occorre dire che la sua più recente produzione — pittura soprattutto, ma anche
disegno acquerellato, anche
grafica pura — scaturisce da una
sensibilità che sin dagli inizi rifiuta il gratuito e annette al mestiere
importanza e ruolo che i giovani,
per pigrizia o imperizia, il più delle
volte stentano a riconoscere o ricusano di sperimentare.
Due sono le proposte tematiche che meglio si
identificano e quasi anzi si impongono come riverberi canonici del suo generoso travaglio: l'immagine del cavallo, con tutto quello che di storico e
mitologico essa evoca, e l'immagine della conchiglia marina osservata e liberamente interpretata in una cangiante
nudità formale e tonale. Ne sono venute due serie di opere cronologicamente
parallele: una prima, in cui prevale il graphos appena segnato di colore, di piccole dimensioni;
una seconda, più propriamente pittorica, di più dilatato respiro. La tavolozza è calda, elementare, senza squilli; la scansione emerge per scarne linee; la tecnica, di varia ascendenza (è presto per dare dei rimandi), rivela bravure che fanno pensare a una
mano adulta. Tutto insomma concorre a legittimare l'attesa di un franco cammino...”
Pasquale Maffeo, dal catalogo delle personali di Montesilvano e Roseto, 1984
Cavallinità
e labirinti
Negli sviluppi recenti,
sostanzialmente segnici, nella ricerca pittorica di Stefano
Ianni, se due sono le polarità iconico-formali, quella relativa al tema della “cavallinità”, in realtà i più intimi motivi
costitutivi mi sembrano evidentemente questi. Anzitutto (primo, dunque) un
esplicito principio metamorfico che presiede la formazione complessiva
dell'immagine coinvolgendovi il destino di ogni determinazione strutturale, come nei “labirinti” o risolvendovi il
rapporto fra residuale presenza iconica, quando questa sussista (il
cavallo, quale figura vitale simbolicamente anche mitica, quasi per Ianni come
lo fu per Mare) e ambiente.
Naturalmente subito dopo
(secondo motivo) proprio una strutturazione tipi-
camente segnica dell'immagine stessa complessiva, nel senso di un risolversi di tale configurazione metamorfica in scrittura pittorica la cui natura è appunto tut ta ordita in quanto segno-colore (a volte con una singolare quanto fortuita asso
nanza con il metodo delle «Siciliane» di Cagli, non a caso di crescita strutturale
quasi per gemmazione automatica del segno cromatico).
camente segnica dell'immagine stessa complessiva, nel senso di un risolversi di tale configurazione metamorfica in scrittura pittorica la cui natura è appunto tut ta ordita in quanto segno-colore (a volte con una singolare quanto fortuita asso
nanza con il metodo delle «Siciliane» di Cagli, non a caso di crescita strutturale
quasi per gemmazione automatica del segno cromatico).
Infine (terzo motivo) il rendersi evidente, entro tale trama
strutturale segnica metamorfica, di pressioni di ordine psichico liberatorio,
determinanti i modi della scrittura
pittorica stessa. Se ciò può apparire in certo modo subito più plausibile
nel caso di «labirinti», la cui rispondenza interiore è quasi in un ordine di
simbologia tradizionale, il rapporto fra residuale presenza iconica e ambiente,
e la scelta stessa di tale presenza iconica (il cavallo, appunto), potrebbero suggerire addirittura un contesto naturalistico. In
realtà il contesto è invece, anche in
questo caso, eminentemente simbolico e simbolica è infatti sempre la partenza stessa della costituzione dell'immagine nella
pittura di Ianni. Processo che si rivela in
realtà dunque decisamente piuttosto di analisi interiore che non naturalistico.
Voglio dire che
nell'immaginario di Ianni non si pongono situazioni di natura,
otticamente dialogata, ma situazioni sostanzialmente simboliche: il cavallo appunto quale presenza di un'idea quasi cosmica
di vitalismo della natura. Vitalismo
che si esplica in effetti in un sostanziale dinamismo del contesto strutturale
segnico del dipinto (e questo, volendo, potrebbe risultare anche un quarto
motivo costitutivo, costante). E tuttavia la radice fondante di tale simbolismo
è appunto chiaramente introspettiva.
Attraverso il contesto
segnico metamorfico (come è chiaro naturalmente nei «labirinti»), in realtà si
rivela la registrazione di un itinerario di sondaggio interiore, ove l'immaginario segnico-cromatico, di
vivacissima proiezione fantastica, negli
esiti migliori, acquista uno spessore di motivata necessità in senso euristico,
come esplorazione scoperta di circostanze e situazioni che si manifestano sì nel contesto segnico cromatico, ma che si
giustificano in quanto pulsioni irrefrenabili e direi persino in certo
modo incontrollabili.
Per comprendere tutto ciò occorre tenere presente che il retroterra di
queste nuove proporzioni del giovanissimo
Ianni (presentate all'inizio della primavera 1987 in “Alternative Attuali
Abruzzo '87”, nel Castello Spagnolo all'Aquila, e in seguito altrove) è
di esperienze esplicitamente iconiche surreali, esattamente di allarmante metamorfosi surreale di situazioni simboliche (come
si presentò, per esempio, nel 1985 in una personale a Silvi Marina). E
non è un caso se in quei dipinti, del 1984 e '85, un tema insistente vi
risultasse la finestra inferriata, ma le cui sbarre erano appunto in situazione
di fusione, o di esplodente
frattura. Dunque una sollecitazione di liberazione chiaramente configurata
in tale simbolica circostanza iconica. E questa liberazione mi sembra ora si sia definita appunto in scrittura
pittorico-segnica, in un duplice modo: di liberazione dal limite
iconico-simbolico, appunto in tale scrittura segnico-cromatica (particolarmente evidente nei temi di
“Cavallinità”); e di liberazione di pulsioni canalizzate nel processo
metamorfico del contesto segnico-cromatico in senso automatico (particolarmente
evidente nei temi di «labirinti».
Il raggiunto
margine di automatismo della scrittura pittorica segnica conquistato
recentemente dall'immaginario di Ianni garantisce cioè un esito liberatorio,
che è esattamente della libertà di un'esplorazione psichica, entro una dimensione immaginativa che coinvolge energie
vitali ed echi cosmico-naturali in un contesto di percezioni molto diramate, ma
che sostanzialmente involvono l'io individuale in un tutto vitalistico
che lo assorbe.
Ed è di
questa particolare condizione di felice disagio psichico che i dipinti, anche i più recenti di Ianni, mi sembra si facciano
vivida e convincente testimonianza.
Enrico
Crispolti 1987
UN LIBERO
CONFRONTO DI ESPERIENZE
PAOLO
BARATELLA STEFANO IANNI
Un incontro
fra due generazioni: due esperienze diversissime, due diversissime provenienze,
due differenti destini. Baratella viene dalla linea della "figurazione
critica" degli anni Sessanta, alla quale è rimasto tuttora caparbiamente
quanto profiquamente fedele, così da
costituire un rilevante fatto, non soltanto Italiano: come altrimenti, e con
altri umori, in particolare un Vacchi. Ianni è un giovanissimo che si
muove in termini che potremmo dire di "figurazione onirica", attratto
da varie tentazioni, fra le quali si
destreggia alla ricerca non facile di una propria identità. Baratella,
ferrarese, opera a Milano da sempre, è dunque tipicamente metropolitano,
legato alla conflittualità sociale ed ideologica della Milano degli anni della
contestazione e poi della strategia della tensione, Ianni vive fra L'Aquila e
Firenze, e dunque ha anche un problema di radicamento nel riconoscimento di un
proprio territorio originario. Il primo è vistosamente espressionista, ma non
in un'esasperazione personalistica, quanto in una coralità corrispondente
all'universo delle mitografie di massa, e opera in un'accesissima visionarietà, entro la quale convoca appunto
icone dell'immaginario collettivo quanto risultanze storiche. La sua
immaginazione è fortemente teatralizzante. Il secondo è sostanzialmente
un lirico, lavora su una sfera d'immaginazione privata, insegue propri sogni di
corrispondenza psicologica.
Naturalmente
in incontro fra due generazioni significa una sfalsatura storica inevitabile,
considerando quanta acqua sia passata sotto i ponti del meno giovane rispetto
alla situazione assottigliata del giovanissimo; e dunque tendere a tentare un confronto più sulla presenza
delle opere che non certo sullo spessore delle esperienze che le motivano. Ma è
anche un modo non molto consueto nel costume critico italiano, che preferisce
chiudere il discorso in brevi aggruppamenti, spesso noiosamente iterati sotto
le più svariate etichette, o tentare collegamenti soltanto in funzione di una motivazione molto spesso di affrettata
storicizzazione del più giovane tramite il meno giovane, o il maestro. Mentre
qui in fondo il confronto è liberamente aperto, in certo modo persino
casuale, non ha sottintese ragioni, ma si apre soltanto alla lettura di due
episodi nei ventaglio del possibile. E così forse sarà proprio l'intrinseca
lettura delle opere a farla da padrone. Una volta tanto!
BARATELLA
L'origine
ideologico-immaginativa di Oh specchio
delle mie brame! è del 1984 nella ammissione di Winston Smith, il protagonista di 1984 di George Orwell, che due
più due fa cinque, quale segno di massima perdita, imposta, d'identità.
Tuttavia intesa anche, da Baratella, tale condizione come apertura di
speranza di un possibile rovesciamento in una liberazione incredibile
(Baratella mi cita Lewis Carroll), iniziando così appunto l'esplorazione del
ribaltamento dunque praticabile d'ogni concetto.
In un recente dialogo precisa:
"Winston Smith, protagonista di 1984, ha commesso il più terribile dei
crimini, appunto lo psicoreato, che si configura come dubbio sulla esattezza
dei comportamenti delle istituzioni. Un mondo, quello descritto da Orwell, totalmente privo di possibilità per
l'individualità, poiché il reato ha la stessa forma della legge: il bipensiero
(doublethink) regge la contraddizione. Winston dovrà ammettere che
2+2=5. Una esplosione nel cervello sottolineerà l'avvenuta espropriazione della
sua coscienza. Il momento della coniugazione è questo. Nell'impero della ideologia
di morte, lo per sopravvivere, chiedo e do speranza. A un mondo ossessivo
oppongo un mondo dove il soggetto affronta autonomamente i rischi di un
percorso esistenziale".
All'origine Baratella si riconosce dunque nell'intuizione di Orwell
" che con grande senso della storia ha creato il clima del nostro vissuto sociologico, del nostro
inconscio collettivo". "Credo che mai come ora la volontà degli
individui, la loro libertà sia stata tenuta
in poco conto. L'annichilimento delle aspirazioni al cambiamento, l'abolizione
della memoria storica, la correzione della storia sono le cifre
dell'epoca descritta da Orwell. Cosa c'è di diverso in questa nostra realtà?
Viviamo con l'angosciosa memoria di un'immagine futura: il fungo atomico".
Permane fra II 1984 & l'Officina
Ferrarese e Oh specchio delle mie brame! il topos delle macerie, ma nel primo il riferimento è al dopo la bomba, mentre nel
secondo è al potere nella sua atavica ineluttabile violenza sull'uomo.
Baratella ritiene Vorrei e non vorrei
1982, il 1984 & l'officina
ferrarese, 1983, e Oh specchio delle mie brame! da intendere come parti
di una tribgia che costituisca una sequenza unica, vissuta
da Baratella nel lavoro di tre anni. Il presupposto ne è in realtà chiaramente quello che corre nella sua pittura
da metà degli anni Sessanta, sottolineato nella tematizzazione di cicli e nella
conseguente intitolazione delle mostre.
"Malgrado questa differenziazione di titoli, quindi di cicli di opere,
direi che c'è un ciclo continuo che è inarrestabile che nasce dalla
profonda convinzione che la violenza che l'uomo esercita sull'uomo deve
cessare"; ci avverte in un altro dialogo, su Vorrei e non vorrei.
In questo
senso Baratella ha lavorato, in vent'anni, e lavora tuttora, sulla contingenza
storica, quando utilizzandone direttamente le immagini di cronaca
nell'immaginario collettivo, quando ricercandone indirette corrispondenze in
assunzioni emblematiche dal patrimonio iconico del passato, e lavorando
comunque sopratutto all'accentuazione parossisticamente insurrezionale della
frizione nella loro rivelatoria contaminazione. Violenza manipolatela dunque
come difesa contro violenza conculcatoria. La prospettiva è stata, ed è, del
riscontro sottinteso con la riaffermata fiducia in "grandi idealità di
giustizia universale", che rimangono il presupposto ideologico implicito
della passionalità "civile" di Baratella: naturalmente con tutta
chiarezza del Baratella di maggior f uror visionario, ma anche di passaggi più
indiretti e di più remoto e ambiguo scandaglio come nel caso del ricomposto Oh
specchio delle mie brame!.
Sempre nel
dialogo sul suo dipinto del 1982 leggiamo: "I concetti e le immagini che
manipolo mi vengono consegnati dagli specialisti della storia; è materia prima
con tanto di garanzia. Lo stravolgimento che su di essa opero è tentativo di
riconversione di tali materie ai grandi temi, alle grandi idealità di giustizia
universale. Ogni altra soggettività va sotto il nome di vitalità creativa o
"creatività". Nella ragione ideologicamente appunto presupposta, di
tali idealità la pittura di Baratella avanza la propria contestazione, rinnova
il proprio "no", quale estremo atto appunto di difesa, di
risarcimento, di affermazione d'una possibilità di risarcente eversione contro
la violenza individualmente alienante del sistema. Un suo dipinto esposto nel
1963, che utilizzava a Collage da
giornali l'immediatezza della cronaca, pronunciava già netto appunto un
"no" iscrittovi in stampatello, come su un muro. Ed è lungo oltre
vent'anni orientamento costante del suo comportamento di pittore (e di uomo).
Qui in Oh specchio delle mie brame! la
possibilità eversiva risiede nell'atteggiamento liberatorio affermato rispetto
alla storia (che è storia del potere). E*
la sua utopia. Per II 1984 &
l'officina ferrarese l'utopia è certo stata anche la proiezione
visionaria quasi fantascientifica. Ma nel nuovo grande dipinto del 1984
l'utopia è sopratutto invece contenuta nella rinnovata fiducia nella
possibilità liberatoria dello scarto eversivo. Come dice nel dialogo sul
dipinto orwelliano: "ho pratico la dimensione dell'utopia con l'animo di
chi nega che questa realtà sia l'unica praticabile". E in Oh specchio delle mie brame! la realtà
indicata è quella dell'eminenza storica del potere costituito, riportato
tuttavia ai riscontri di profondi scandagli d'archetipi psichici, e non
soltanto appunto il potere sovrano.
Qui dunque la
confutazione e negazione, anzitutto, delle verità dogmatiche, come dimensione
tipica dell'esercizio straniante e violento del potere. Quella confutazione vi
si forma sulla convinzione che sia possibile definire, inventare, dice
Baratella, nuovi schemi liberi di etica
morale e politica, negando il collegamento storico. E in questo senso tale
confutazione apre appunto prospettive di liberazione. La sola verità che
ci si rivela e che si afferma è la perversione del meccanismo che regge il
sistema; e che appunto il gioco degli specchi, chiave di lettura del dipinto,
immaginativamente ci svela. La rivelazione è l'evidenza del circuito storico i
cui termini si propongono nel potere sovrano, l'uomo vittima sacrificata, e la
natura deposta. E la rivelazione
avviene attraverso gli occhi del personaggio che, come Edipo, vede con
gli occhi della sapienza, Baratella sottolinea, appunto della conoscenza apollinea
(enigmatica).
Il problema
centrale di questo nuovo grande suo dipinto Baratella stesso me lo indica
sinteticamente così: a) il bisogno di conoscenza, e la questione dell'origine
della sapienza; b) l'origine del comportamento riscontrabile a livello di
archetipi; e) nella sospensione del
giudizio. Atteggiamento quest'ultimo che va inteso, mi sembra, proprio come
rinuncia alla in certo modo catartica rivalsa di parossismo visionario
liberatorio che sì poteva verificare, in tutta la sua intensità, negli altri
due grandi dipinti della sequenza probabile dei maggiori esiti di questi
tre ultimi anni di suo lavoro. Qui è sospesa l'univocità del giudizio, non
direi tanto il presupposto ideologico della sua necessità. E ciò proprio qui in
funzione dell'attesa, quasi degli esiti di quello scandaglio profondo che la
"bonaccia" apparente delie immagini di questa singolare e composita
"pala" può in certo modo far supporre. Non si tratta infatti qui di
travolgere insurrezionalmente degli emblemi ostili, ma di riconoscersi nella
realtà profonda di archetipi di prospettiva
antropologica storica, e tuttavia ancora socialmente determinanti, quanto di
natura psichica presente
e insieme remota.
Infine: come
collocare la pittura di Baratella, oggi? Chiaramente il suo fare pittorico
suggerisce una possibilità di dimensione della
pittura "d'immagine" ben al di fuori dai termini di una risoluzione
meramente istintuale, e a favore invece di una prospettiva di
figurazione concettualmente (e di qui anche, pur alla lontana, ideologicamente)
mediata. Il suo è un esempio rilevante, a scala europea almeno, dì recupero
oggi delle valenze concettuali della pittura, entro appunto una pratica di
questa che non saprebbe non darsi come eminentemente e direi
imprescindibilmente d'immagine; ma al di là, beninteso, della rastremazione
della vicenda "concettuale". In questo senso Baratella restituisce
piena fiducia ad una pittura di
coralità allegorica, ad una pittura che sia anche sollecitante stimolazione di
riflessione, di idee, e di comportamenti; al di là beninteso comunque anche in
questo caso di oggi limitazione all'estemporaneità fisica del
"comportamentismo" (benché abbia realizzato nel 1978 e 79 due eventi
d'azione teatrale). Certo la sua non è pittura contemplativa, né lo è mai
stata, del resto, per chiara vocazione, fin dall'esordio all'inizio degli anni
Sessanta (organistico allora, in certo modo, ma poi subito chiaramente
contestatorio, s'è detto ora), ma oggi non è neppure pittura meramente
d'emotività visionaria rivelatoria. La sua "rivelazione", il suo
svelamento (un ruolo che Baratellla ha dichiarato tipico del proprio fare
pittorico esplicitamente nel 1970-71
intitolando un proprio grande dipinto chiave di allora... Come se mi alzassi e prendessi coscienza...)
Lo compie in immagine, certo, ma appunto qui più che mai su un terreno
palpabile di provocazione riflessiva in termini di idee, di rielaborazione concettuale, di
concetti dunque, se si vuole, e di suggestione comportamentale concettualmente
indotta (sia pure naturalmente attraverso strumenti di provocazione in modi di
immaginario pittorico).
Non si pone
infatti tale svelamento in altri termini che come azione indotta. Non però
perché collochi, in qualche modo, lo spettatore al centro del quadro, e lo
suggestioni quindi al massimo livello di parossismo emotivo di contaminazione
eidetica (come ha fatto Baratella negli anni Settanta). Ma perché quello
spettatore-lettore induce a ripercorrere, senza scampo (pena il totale agnostico
fraintendimento, cioè il suo essere irrimediabilmente perduto), tutta la
dinamica semiologica dell'avventura rivelatoria (e direi persino monitoria) che
costituisce la lettura-penetrazione del-nel grande teatro di segni iconici
istituito dalla complessa proposizione pittorica Barateiliana.
I ANNI
Negli sviluppi
recenti, sostanzialmente segnici, della ricerca pittorica di Stefano Ianni, se
due sono le polarità iconico-formali, quella relativa al tema della
"cavallinità", in realtà i più intimi motivi costitutivi mi sembrano
evidentemente questi. Anzitutto (primo, dunque) un esplicito principio
metamorfico che presiede la formazione complessiva dell'immagine;
coinvolgendovi il destino di ogni determinazione strutturale, come nei
labirinti", o risolvendovi il rapporto fra residuale presenza iconica, quando questa sussista (il cavallo,
quale figura vjtale simbolicamente anche mitica, quasi per Ianni come lo fu per
Marc) e ambiente.
Naturalmente
subito dopo (secondo motivo)
proprio una strutturazione tipicamente segnica dell'immagine stessa complessiva,
nel senso di un risolversi di tale configurazione metamorfica in scrittura
pittorica la cui natura è appunto tutta ordita in quanto segno-colore a volte
con una singolare quanto fortuita assonanza con il metodo delle
"Siciliane" di Cagli, non a caso di crescita strutturale quasi per gemmazione
automatica del segno cromatico).
Infine (terzo motivo) il rendersi evidente,
entro tale trama strutturale segnica metamorfica, di precisazioni di ordine
psichico liberatorio, determinanti i modi della scrittura pittorica stessa. Se
ciò può apparire in certo modo subito più plausibile dei "labirinti",
la cui rispondenza interiore è quasi in un ordine di simbologia tradizionale,
il rapporto fra residuale presenza iconica e ambiente, e la scelta stessa di
tale presenza inconica (il cavallo appunto), potrebbero suggerire addirittura
un contesto naturalistico. In realtà il contesto è invece anche in questo caso,
eminentemente simbolico, e simbolica è infatti sempre la partenza stessa della
costituzione dell'immagine nella pittura di Ianni. Processo che si rivela in
realtà dunque decisamente piuttosto d'analisi interiore che non naturalistico.
Voglio dire
che nell'immaginario di Ianni non si pongono situazioni di natura, otticamente
dialogata, ma situazioni sostanzialmente simboliche: il cavallo appunto quale
presenza di un'idea quasi cosmica di vitalismo della natura. Vitalismo che si
esplica in effetti in un sostanziale dinamismo del contesto strutturale segnico
del dipinto (e questo, volendo, potrebbe risultare anche un quarto motivo costitutivo, costante).
E tuttavia la radice fondante di tale simbolismo è appunto chiaramente introspettiva.
Attraverso il
contesto segnico metamorfico (come è chiaro naturalmente in particolare nei
"labirinti") in realtà si rivela la registrazione di un itinerario di
sondaggio interiore, ove l'immaginario segnico-cromatico, di vivacissima
proiezione fantastica, negli esiti migliori, acquista uno spessore di motivata
necessità in senso euristico, come esplorazione-scoperta di circostanze e situazioni che si manifestano sì nel contesto
segnico e cromatico, ma che si giustificano in quanto pulsioni irrefrenabili e
direi persino in certo modo incontrollabili.
Per
comprendere tutto ciò occorre tenere presente che il retroterra di queste nuove
proposizioni del giovanissimo Ianni (presentate all'inizio della primavera 1987 in Alternative Attuali/Abruzzo '87 nel Castello Spagnolo a L'Aquila, e in seguito altrove) è di
esperienze esplicitamente iconiche surreali, esattamente di allarmante
metamorfosi surreale di situazioni simboliche (come si presentò, per esempio, nel 1985 in una personale a Silvi
Marina). E non è un caso se in quei dipinti, del 1984-'85, un tema insistente
vi risultasse la finestra inferriata, ma le cui sbarre erano appunto in
situazione di fusione, o di esplodente frattura. Dunque una sollecitazione di
liberazione chiaramente configurata in tale simbolica circostanza iconica. E
questa liberazione mi sembra ora si sia definita appunto in scrittura
pittorico-segnica, in un duplice modo: di liberazione dal limite iconico-simbolico,
appunto in tale scrittura segnico-cromatica (particolarmente evidente nei temi
di "Cavallinità"); e di liberazione di pulsioni canalizzate nel
processo metamorfico del contesto segnico-cromatico in senso automatico
(particolarmente evidente nei temi di "labirinti").
il raggiunto
margine di automatismo della scrittura pittorica segnica conquistato
recentemente dall'immaginario di Ianni garantisce cioè un esito liberatorio,
che è esattamente della libertà di un'esplorazione psichica, entro una dimensione
immaginativa che coinvolga energie vitali ed echi cosmico-naturali in un
contesto di percezioni molto diramate, ma che sostanzialmente involvono l'io
individuale in un tutto vitalistico che lo assorbe.
Ed in questa
particolare condizione di felice disagio psichico che i dipinti anche I più recenti di Ianni mi sembra
si facciano vivida
e convincente testimonianza.
Enrico
Crispolti 1988
La mostra consente di fare il punto sul divenire della pittura di
questo giovane artista. Dopo alcune esperienze di surrealismo iconico che già
sancivano la scelta di un'arte tesa alla visualizzazione della vita della
psiche, la pittura di Ianni è rimasta fedele ad un assunto simbolistico e ad
una dimensione epifani-ca, ma dalla varia gamma di prove iniziali si è diffusa
su due temi privilegiati: la «cavallinità»
e il «labirinto». Nel primo caso la conferma dell'iconicità non nasce
da un banale assunto naturalistico, bensì da un'istanza metaforica, con l'ossessiva presenza del cavallo a simboleggiare un
vitalismo naturale tutto percorrente e travolgente nel suo incessante
procedere entro ogni forma e che assorbe lo stesso io creatore; il «labirinto»
rappresenta invece lo sforzo di trasferire sul piano segnico-cromatico l'incessante divenire della propria vita interiore,
a contatto con la quale la pittura di Ianni vuole sempre rimanere,
salvo poi scoprirne l'estraneità alle leggi
dell'ordine e della proporzione e risolvendola nell'immagine di un
groviglio. Ma già l'emergere a coscienza del labirinto, il suo rendersi
osservabile, è un atto liberatorio, un preludio di conoscenza.
Gian Luca Gualandi 1988
Nasce a L’Aquila nel 1964, ha frequentato il liceo classico attualmente
è iscritto all’ultimo anno-corso di pittura dell’ Accademia di Belle Arti di
Firenze. Esordisce con la
sua prima mostra personale nel 1984 a
Montesilvano; Roseto degli Abruzzi
cui seguono nell'85 una personale a Silvi,
nell'87 a Teramo, nell'88 a Pescava galleria II Trifoglio, nel novembre '88 esporrà a Milano al Centro Lavoro Arte. Partecipa a numerose manifestazioni: nell'83 Premio Avezzano, nell'84 a Chieti Premio
Nazionale pittura e grafica (2° premio),
nell'85 Pescara Fumetto (1°
premio), nell'86 Sulmona premiato
alla XIII Mostra Nazionale Arte
Contemp., XXXVIII Premio Michetti. Nell'87
è invitato a Forte di L'Aquila curatore
Enrico Crispolti e al Premio Termoli a cura di Silvana Sinisi. Dal 26/7 al
10/8 1988: "Due generazioni a
confronto: Paolo Baratella-Stefano
lanni" a cura di Enrico Crispolti,
patrocinio Comune di Caramanico
(PE) ed Ente Terme.
Amo il verde, il silenzio, lo spazio e la luce, ma non amo
l'isolamento del vivere in campagna. Perciò la mia casa ideale è un appartamento
sito all'ultimo piano, con giardino pensile, in un palazzotto d'epoca che abbia
conservato l'intimità ed il fascino discreto
"fin de siecle". Vi
realizzerei casa e studio congegnati in modo da poter scindere nettamente i due
settori per tutelare al massimo la mia privacy.
Quando e come hai deciso di fare il pittore?
Credo sia un'inclinazione innata che si è concretizzata via via che
prendevo coscienza delle mie esigenze.
Sei stato contrastato in questa scelta dai tuoi famigliari?
Al contrario, penso di essere stato favorito dall’atmosfera stessa che
respiravo in casa, mio padre si nutre letteralmente d’arte e mia madre è una
poetessa la cui sensibilità mi ha sempre affascinato.
Quando iniziasti a dipingere con intenti professionali?
Poco dopo l'inizio dell' Accademia, presi in affitto una soffitta e lì iniziai la mia ricerca che continua tutt'ora.
Lavori costantemente o lo fai solo nei cosiddetti momenti di grazia?
La ricerca pittorica
richiede costante
applicazione, certo vi sono momenti
particolarmente felici per cui creo con facilità e sperimento sensazioni
gradevoli, ma anche in questi casi
occorre applicare una rigorosa analisi per puntualizzare e verificare
la validità dei contenuti.
Si può dire che il tuo sia un lavoro di ricerca...
Sì, infatti sul tema "Cavallinità e Labirinti" ci sto lavorando da sei anni.
Come è nata questa tematica?
Partendo dallo studio sulla figura umana, sono approdato ad identificare nell' essenza equina la simbologia di libertà,
dinamismo, generosità, in opposizione c'è il labirinto, elemento di costrizione, simbolo dell'in-sondabilità
dello spirito da cui si esce attraverso la ragione.
Questo in sintesi il contenuto
della ricerca di Stefano lanni:
simbologie astratte, direi quasi metafisiche sviluppate in situazione di circolarltà o
sferoidalità. Una dialettica che nelle sue tele riesce a convincere e
svilupparsi in un tutto armonico di forme in espansione. Nelle sue opere più
recenti ha trasceso questi concetti attraverso una ricerca più sottile e
penetrante acquistando un linguaggio segnino quasi surreale.
Tiziana Zanchi-Anselmi – La casa ideale dell’artista,
“L’angolo dell’ispirazione” in CASA OGGI n° 168 - 1988
ALINARI E IANNI
Si erano trovati
insieme, selezionati fra i grandi protagonisti dell'arte contemporanea, in
quel bellissimo incontro-mostra che appena due anni fa Silvana Sinisi aveva
curato con tanta avvedutezza per il comune di Termoli, sotto La costellazione del segno: Luca Alinari, fiorentino, e Stefano Ianni, aquilano. Credo che fosse
la prima volta. Ma poiché certi accostamenti non sono mai casuali, la vicenda
aveva grosse probabilità di ripetersi. E oggi si ripete, infatti.
Alinari e Ianni
appaiono dunque, nello storico castello dell'Aquila, in una mostra a due, vale
a dire senza interferenze di altri linguaggi; anche se i loro, in effetti,
hanno poco in comune oltre la fragile apparenza che talvolta può confondere le
idee a chi ne affronta distrattamente la lettura. Alinari ha alle spalle un
percorso Anche nei dipinti di Ianni è una
ironia sottesa; ma la si avverte diversa nella specificità del ruolo da quella
di Alinari perché diverse ne sono le origini : e, forse provenendo
dall'esercizio del <cartoon>, si fa marcata e didascalica. Ad ogni modo
è anch'essa fonte di ambiguità, riscontrabile nelle scelte formali più che
nello strumento linguistico; e accende possibilità evolutive che incombono
sulle immagini di oggi quasi a renderne effimera la catalogazione. È pittura
giovane. E come tale ha ampi diritti di condurre esplorazioni anche spieiate
dentro e fuori i confini di un immaginario sempre più ricco di sensazioni: per
costruire anche arbitrariamente sopra le esperienze plurisecolari che vigilano
con metodica saggezza sulle sorti di una civiltà della quale ci sentiamo
partecipi e sentimentalmente responsabili.
Non è un
confronto, è un incontro. Ai due pittori che rispecchiano gli entusiasmi e i
valori delle generazioni nuove, l'augurio che i loro sogni di gloria, sempre
legittimi in chi opera con
sincerità e impegno professionale, non tradiscano quel canovaccio su cui sono
state intessute le premesse dei loro itinerari; che sono poi gli ideali
dell'arte. Immutabili, nonostante tutto.
Tommaso Paloscia 1989
Mi pare di poter dire che nell'opera più recente di Stefano
Ianni — dove sembra che l'artista abruzzese abbia abbandonato ogni opzione
animalistica (la «cavallinità» di cui parla Crispolti) per approdare a stilemi
tra surreali ed astrat-tizzanti — convergano alcuni elementi stilistici che
sono sempre appartenuti ad esperienze d'avanguardia: il carattere non formale e
l'accentuazione del descrittivo. Ma ciò che sostanzialmente la caratterizza e
costituisce la sua ragione più vitale è il porsi come momento di conoscenza di
un lato diverso e nascosto della realtà: dell'«altro lato» delle cose.
Il rapporto con il mondo e con la vita diventa così molto
forte e la ricerca degli eventi misteriosi — o speciosi — della realtà si
traduce generalmente in una eccedenza di espressività, in cui bellezza formale
ed intensità psicologica, splendore cromatico ed allusività, chiarezza
costruttiva ed ambiguità della dizione fantastica vanno di pari passo, sì che
il mondo di questa pittura viene ad essere costituito non soltanto da quello
«banale» delle apparenze, quello logico di una visione razionale, ma dal mondo
sotterraneo ed analogico delle conoscenze seconde, dei fatti e delle cose che
stanno al di là del reale (Si può cogliere persino nella sua atmosfera quasi un
momento di sospensione, in cui ogni cosa sembra ferma per un evento che sta
per accadere e che da un segnale della sua situazione; ed ecco che si accorge
che l'evento atteso è, nella sostanza, proprio questa sospensione, che rimane
così aperta su ogni possibilità, sulla dimensione indecifrabile di ciò che non
avviene o che non finisce mai di avvenire). E’ l'effetto del mondo irrazionale
e fantastico delle apparizioni, delle epifanie, che nascono dall'interno, dal
profondo, a seguito dell'energia magica che si sprigiona dagli accostamenti
apparentemente più disarmonici ed incongrui: epifanie che colpiscono
all'improvviso per la forza della loro inusitata apparenza, della loro novità
«scandalosa», rimandando la conoscenza più vera della loro natura ad uno scandaglio
postumo e minuzioso, ad un'attenzione più prolungata e libera, capace cioè di
ricucire, nello stallo della riflessione, la catena infinita delle immagini e
della figurazione.
Pietro Civitareale 1988/1989
Stefano Ianni nel recinto del presente
Sono ormai noti i due grandi
cicli pittorici di questo artista aquilano dedicati al cavallo e al labirinto
che rappresentano la sua adesione alla storia non soltanto
delle arti visive del nostro secolo, catalogabile come il secolo del dinamismo
(penso al futurismo nel cui ambito ha trovato spesso interesse l'esuberanza
vitalistica del cavallo: una citazione per
tutte «Dinamismo di cavalli» di Alessandro Bruschetti che fu aeropittore e
soprattutto dello smarrimento emblematicamente espresso dal labirinto. Egli è
pertanto operarius nel
recinto del presente, di questo campo ove il dubbio e la
ricerca incessante che oscilla tra la figurazione e aniconicità sono il verbo qualificante
la sua intensità emotiva di artista. Va da sé
che su tali presupposti Ianni si lascia coinvolgere da un sofferto discorso materico
e segnico: materia come caos indistinto nel cui ambito si obiettivizzano,
attraverso il segno, la sua presenza demiurgica e i suoi stati d'animo nei
quali si riscontra la componente magica,
l'instabilità del sogno, la sovversione funam-bolica dell'estetica
classica.
Per tornare al labirinto, devo
dire che una sua ricorrente tipizzazione è quella del modulo, che se da un lato
razionalizza la superficie pittorica (non sono estranee
a Ianni certe tesi del Concretismo tra le due guerre), dall'altro accentua dialetticamente
lo smarrimento esistenziale e quindi l'urlo alienante dinanzi all'u-guale, al
seriale, al pianificato accumulo della trappola suadentemente strutturata in
modo logico, ma che irretisce il ri-generarsi dello spirito umanistico con le
sue capacità inventive e fantastiche.
Queste tesi centrali a tutta
la sua imagerie non
sono dissimulate dalla peren-torietà del colore acrilico e
dall'uso dell'aerografo che riesce a potenziare le tonalità vitalizzando violentemente le composizioni che, catapultate nella
dissidenza dall'iconico e cioè nella metamorfosi, richiedevano un
altissimo spessore di tensione, un'inquieta pienezza energetica che potesse
giustificare l'andirivieni tra Uétre et le néant.
Ecco spiegata l'enfasi del
colore, il compiaciuto ricorso alle traiettorie calde, quell'andare su di giri
della sua gestualità ovoidale sempre propensa all'organico e poi la
non-presenza del mimetico (il tema del cavallo lo attinge dagli spazi surreali
della memoria) e del naturalistico, sicché ogni riferimento al reale smarrisce nell'instabilità formale. Il rischio
del nihilismo, progettuale per lo meno, della civiltà contemporanea
registrato dall'orizzonte anarchico-onirico che non diserta, oltre quella
dell'Informale, la lezione del surrealismo, viene esorcizzato da Ianni con
opere dal ripiegamento francescano sull'arte povera e la pop-art, ove l'anelito
al lirismo diviene regola prioritaria e indiscussa coscienza della
trascendenza. Ne derivano composizioni più pacate, terse e nella dialettica tra
l'azione e la stasi, prevale quest'ultima mentre certi riscontri dinamici vanno
letti come divagazione o arabesco che rafforza la potenza espressiva dell'intuizione
lirica. Anche il colore abbandona il ritmo inquietante del divenire e da una
sorta di restrizione artificiale o falsetto torna alla duttile gioiosità
umanistica, pur tuttavia con delle sedimentazioni dovute alle ricerche
precedenti.
Leo Strozzieri 1990
Già ricco di curriculum
nonostante la giovane età (è nato
all'Aquila nel '64) Stefano Ianni approda
adesso a Pescara con una personale allestita nella Casa D'Annunzio. La mostra sembra segnare un
punto di svolta importante, naturalmente tutt'altro
che univoco stante la fase necessariamente
aperta di ricerca che deve contrassegnare un'arte giovane: l'abbandono di temi ricorrenti finora, e che probabilmente rischiavano di
costringere il pittore dentro
parametri divenuti troppo obbliganti
e dunque angusti, apre le vie a progettazioni assai più libere, nelle quali può dirsi che l'obiettivo fondante sia non più la rappresentazione ma il suggerimento di essa, ovvero indicazione per
cenni di itinerari che la nuova
pittura possa percorrere.
A far testo è
il colore, invece che il segno, con la
connessa liberazione gestuale, tuttavia tenuta a freno da
alcuni fattori rivelatori. Lo studio del contenitore,
per esempio, elemento in apparenza di
subordine ma qui chiamato in causa per una implicazione paritaria con il resto della tela diventa allora
insieme la linea di demarcazione ma anche
il canale di transito per la rottura degli spazi canonici.
In molte delle opere esposte
ricorre un motivo chiaramente allusivo: i tre
colori che esplodono al centro della
tela come per porre premesse dialettiche con il resto del paesaggio, al quale
dunque è il colore che intende offrirsi
come tema e ragione di vita. In
altri lavori si accentua il motivo della libera circolazione di elementi posti a punteggiare percorsi immaginari.
Stefano Ianni si mostra
intento a guardare e a cercare, in chiave
sempre marcatamente soggettiva, cosicché la sua scrittura pittorica,
sulla scorta degli acquisiti criteri di base, sembra avviata a godere di ritmi
sempre nuovi e sempre densi di vitalità.
Giuseppe Rosato 1990
Viaggio nei labirinti di Stefano Ianni
La pittura di Ianni si colloca
idealmente al di qua della distinzione tra il
figurativo e l'astratto; c'è nelle sue tele un' esuberanza
di colore, una specie di virtuosismo
cromatico, che pero non si appaga di
sé, ma tende a dar più risalto ad espressioni che nascono da un chiaro intento figurativo: a talune sagome di
valore simbolico, rese inquietanti,
per cosi dire, dal colore che attorno ad esse si stringe. Il tema che
unisce tra loro i quadri, "Segnali nel labirinto", congiunge in un
solo discorso le diverse manifestazioni
pittoriche; e la resa in immagini di
questo discorso è veramente assai
suggestiva e ricca di significato. Il motivo del labirinto esprime con grande immediatezza la condizione dell'uomo
nel nostro tempo: una condizione di ricerca perenne e senza risultati
di un'indagine che si ripiega su se stessa
e che non giunge mai ad alcuna
riposante certezza. Nei quadri di
Ianni i "moduli nel labirinto" offrono figure vagamente geometriche che, ossessivamente ripetute, fanno pensare ad una situazione di travaglio
spirituale e di affanno: situazione
che l'enfasi del colore rende più
sicura e più forte. Altre volte lo stesso
motivo trova la sua realizzazione nel contrasto tra l'irrequieta
mobilità dello sfondo e irreale fissità delle immagini
in primo piano, l'urto dialettico tra il
dinamismo e la stasi.
Francesco
Desiderio 1990
Sospensioni dell 'immaginario: Stefano Ianni
II giovane operatore aquilano produce attendibili risultati, che situano l'immaginario a
contesto della superficie della tela.
Gli ultimi lavori dell'artista, promossi da un efficace
linguaggio d'intermittenze segniche, risultano testimonianze di attente riflessioni e precipitato esemplare di un
sano esercizio pittorico.
Sostanzialmente sono rilanciati nei
dipinti lieviti informali e tracce figurali, di portata ludica. Stefano
Ianni continua, sfidando una catena di
riferimenti, ad attualizzare accostamenti significativi, strutturando la composizione, con artifici
simbolici, ed, in fondo, per determinare una sofisticata
leggibilità dell'insieme.
Nel controllare questa pittura emergono trasmissioni fantastiche, che dialetticamente incidono la scena. E
su questa un larvato senso del reale, pur
rimanendo vivo, anche se non caricato di particolare intensità, né
trattato con piena incisività,' vigila, non dimenticando di tutelare l'impatto
con nuovi contesti e di scandagliare la carica frattale. Simboli e segnali
caratterizzano motivi di chiave psicologica
e dispongono il campo ad essere misura di nuovi spartiti visivi. I
simboli e i segnali s'aprono a ventaglio per
inglobare dubbi ed interrogativi,
nonché per superare un cosmetico limite iconico e costituire, cosi, un nuovo margine d'instabilità figurale.
Questi strumenti visivi, sottolineati
da marcati lampi cromatici, indicano d'essere veicoli di una catalogazione a
metà tra metafora ed allegoria. Sono
precisate, senza ambiguità, premesse
di nuovi itinerari iconografici, in cui la fantasia sembra prendere più tono. Stefano Ianni, nel conquistare lo spazio della tela, è attento ai perimetri e all'equilibrio formale, e, per non rendere incongruo il passaggio del colore, ne misura la quantità, l'effetto e la capacità calamitante. In
effetti rende il colore, nella sua
qualità migliore, elevandolo a
pungolo ottico.
- Non c'è incatenamento della colorazione, bensì un sostenuto e profondo accordo per l'accentazione.
L'artista procedendo, con estrema
attenzione, costituisce un quadro
segnaletico, in cui il colore è conquista della superficie e le cifre figurali
diventano promozioni estetiche.
Il tutto risalta da una maglia
allegorica, di taglio fantasmatico. Fantasie apparenti e
fantasmi inseguiti si combinano nell'apprezzabile
gusto del cumulo vorticoso delle pennellate,
nella segnalazione acconcia e sintetica del dato figurale coniugato all'abbozzo
utopico di aggettanti richiami
modulari. Pittura mediata, e non di gesto, in cui vettori e vertici,
esplosioni ed implosioni, trasalimenti e
consapevolezze conducono a chiare e forti appendici d'espressione. In definitiva, ogni dipinto è un tassello di un più
vasto excursus teso a propendere
verso un'astrazione liberatoria, che a sottolineare soluzioni sotterranee.
L'operatività di Ianni non sale a manifestare sostanziali affronti visivi, ma
esalta ramificazioni ironiche e temperati
racconti, che non dimensionano realtà soffocate, ma registrano
supplementi di un fertile immaginario.
Maurizio Vitiello - 1991
I materiali del sogno
I sogni sono sempre una delle
materie con le quali l’uomo si trova più disarmato: il contatto è eccitante, a
volte imbarazza, incuriosisce sempre. Certo è che possiamo sognare solo a
partire da ciò che conosciamo, da ciò che abbiamo visto. Ecco perché non mi attira la fantascienza, non mi
attirano i marziani con otto mani e tre occhi, perché sono semplici alterazioni
di quanto più ridicolo si crede di
avere a disposizione. Il sogno è diretta conseguenza della nostra vita e allo
stesso tempo ne è stimolo continuo. Strano solo in apparenza: da un lato
possibilità di sfuggire alla ripetizione monotona dei gesti e delle parole,
dall’altra l’invenzione costante, il rinnovamento, l’imprevedibilità. Storia
antica come il mondo si dirà – e certo esplosiva se potessimo sapere quello che
sognano gli animali e, se fossimo animisti, gli alberi e le pietre, tuttora
capace di muovere gli animi fino all’ultimo slancio di cartesiano spirito nelle
immagini di Wim Wenders, la possibilità di visualizzare l’intangibile etereo di
immagini che attraversano gli occhi della mente.
Aggressivo da un lato, rifugio
accomodante subito dietro la barricata, il sogno. Si veda, però, da un’altra
angolatura, riferita alle esperienze che fanno la diversità di ognuno di noi.
In tal senso il sogno, e la facoltà di immaginare, si legano direttamente,
concretamente alla nostra personale storia, fatta di immagini e suoni, fino ad
incontrarsi con la filosofia per il tramite della memoria. Ricordo, dunque
sono. La forza della memoria, la forza della storia. Per contrario, tutte le
dittature procedono per via di cancellare personalità costruite pazientemente,
fra sofferenza e passioni, giorno
dopo giorno. Stefano ianni prende con forza il bandolo di questa matassa
intricata, ne sviluppa i capillari portandoli ad emergere nelle loro
complessità. Dai temi della “Cavallinità”, dei “Labirinti”, fino a questi
ultimi legati ai “Materiali per i sogni” la sua ricerca ha fatto propri i
versanti dialettici del colore e della materia, trovando soluzioni che ampliano
la risonanza ed il significato di ciò che si intende per pittura. In più
occasioni ho parlato di pittura riconducendola ai suoi elementi basilari di
superficie, forma, luce, materia, nel senso insomma di preservarne intatta la
possibilità di irraggiamento e intima costituzione, svincolandola dalle
categorie dei generi che ne privilegiano solo la semplice apparenza. Ebbene,
allora è all’interno di tale ampia libertà intellettuale che Ianni si muove,
ritrovando ogni volta intatte, pur mutandole di segno e di accentazione, le
matrici linguistiche del proprio percorso. Deve essere sogno, memoria,
possibilità di trovarsi all’interno del caos? Si, ma ogni volta sarà diverso,
più profondo, accorto, sottile. E certo, mantenendo il filo del labirinto, ogni
volta uguale alla prima.Fermo restando che la ricerca, la sua tensione, rimane
costante, capace di rinnovarsi ad ogni opera: una molla che si ricarica dal
proprio interno, assorbendo energia da fuori, laddove, per l’appunto, a
proposito di Ianni, Enrico Crispolti parlava di ”disagio psichico”, intendendo
il pungolo, lo stimolo che lo spinge ad osservarsi – quale umanità – e a
proiettarsi nel mondo, facendo riferimento poetico e contatto formativo con i
surrealisti nella loro più ampia, enigmatica presenza. Passando da una pittura
segnica e gestuale ai più recenti “materiali del sogno”, Ianni ha individuato
l’anima bruciante della ricerca visiva, la sua naturalità come operazione
consapevole, la sua non naturalità se intesa come semplice copia del reale. In altri termini, l’opera tanto più si
discosta dalla superficie del reale quanto più ne imita le fattezze o ne usa i
materiali. La pietra non è più pietra all’interno del suo racconto visivo: è
volume, è sonorità; un appiglio, un abbordaggio alla concretezza. Eppure è
sempre pietra. Dalla superficie della tela allo spessore fisico, palpabile, la
ricerca di Ianni si costruisce spostandosi dalle due e le tre dimensioni,
aprendosi e chiudendosi in sé, stabilendo un movimento alterno nello spazio,
nelle sonorità che l’opera stessa viene a determinare. E’ in tal senso che non
è più possibile determinare quale sia contenuto e quale il contenitore, se la
cornice stessa si sottomette ad accogliere in sé i viluppi del reale. Il
rapporto naturale-innaturale trova ipotesi di soluzione in quanto precisa
scelta di campo operata dall’autore, che individua, modellandola e
circoscrivendola, la profondità e i tempi dell’immersione. “Non prometto
salvezza né quiete”, afferma Ianni; il legno si spoglia a contatto con
l’atmosfera, ne trasmette le onde magnetiche al colore come se fosse spazio,
luogo fisico e del pensiero, della natura e della memoria, plasmando sulle sue
onde accordandosi alle mille luci che Ianni ha visto, toccato, assaggiato nei
viaggi. Luci che nel suo percorso espressivo illuminano realtà imprevedibili,
autonome ed il contatto le una con le altre, una e cento insieme, come un
collage compiuto, i “materiali dei sogni”, fino ad avere senso complessivo una
volta raccolte e composte secondo il senso che è giusto che abbiano, avvolgenti
secondo un moto circolare mai conchiuso, ritrovando in esso la sospensione ineffabile, il
silenzio rarefatto delle montagne, delle quali si snoda il profilo sia dipinto
che sagomato: ma è il barlume di un attimo, avvolto dall’onda della memoria.
Giandomenico Semeraro – Oggi e Domani N°1, 1994
LE INFINITE ESISTENZE
DEL SOGNO NELLA PITTURA DI STEFANO IANNI
Dopo i cicli pittorici di “Cavallinità”, di
“Moduli” e di “Segnali nel labirinto”, Stefano Ianni è attualmente impegnato
nella realizzazione de “I materiali del sogno”, ciclo pittorico al quale
l’artista lavora già da qualche anno ed in cui è ben visibile il coerente
processo evolutivo della sua ricerca artistica caratterizzata, fin dal suo
primo definirsi, da unintento segnico coincidente con un forte movente
cromatico-gestuale. Tali componenti hanno subito, nel tempo, variazioni,
recuperi, sviluppi ulteriori quali logiche conseguenze di un lavoro intenso che
colloca il nostro giovane pittore tra i più acclamati e ricercati protagonisti
della nuova generazione di artisti.
Ianni è, quindi, stilisticamente impegnato sul
fronte di una manifestazione segnica fluttuante, su di un inquieto vagare di
aggregazioni formali, ora più integre e compatte, là dove l’artista inserisce
l’elemento naturale o il dato minimo dell’icona, ora più disomogenee e indistinte,
come nel caso degli interventi di colore dall’andamento ondulato o le cornici
lignee anch’esse realizzate secondo uno schema fluido e biomorfo e da una
scansione ritmica che sembra trarre origine da lontane regioni del sogno o dai
misteriosi meandri dell’inconscio. Ed è proprio in quest’ultimo periodo
creativo che Ianni esplicita apertamente la poetica dell’immaginario con un
intento talmente spontaneo da non tener conto dei limiti bidimensionali del
quadro: l’artista sembra libero di muoversi, anche se virtualmente, all’interno
di uno spazio agravitazionale, leggero e amniotico, suscettibile di divenire
onnicomprensivo oltrepassando le barriere materiali. E’ chiaro che nel discorso
pittorico di Ianni esistono implicazioni latenti che sfiorano la poetica del
concetto per divenire potenzialmente “pittura d’ambiente” soprattutto in
riferimento all’elemento cornice, così vaga e fluttuante, evidente tramite di
due diversi livelli di esistenza ed efficace mezzo che, invece di recingere ed
arginare, amplia, estende, sviluppa l’immagine dipinta sulla tela, oltre la
delimitazione lignea, nell’ambiente circostante.
Nei lavori più recenti, Ianni aggiunge a tale
processualità noetica e concettiva il recupero di quel suo fare più gestuale,
caratteristico dei propri esordi pittorici e sintomo di una profonda necessità
di iterazione, comune al più autentico manifestarsi dello stato creativo.
Ecco, allora, che Ianni produce una sorta di
scrittura-immagine realizzata con l’ausilio dell’analisi microscopica ovviamente
di natura mentale che ne evidenzia il tratto, l’ordito, la velocità
d’intervento, l’attrito. Quasi una scrittura automatica, i morfemi dell’artista
aquilano connotano stati emozionali, situazioni ipnotiche, momenti onirici.
Ma le infinite esistenze del sogno della pittura
di Ianni non si manifestano attraverso l’alterazione della realtà, piuttosto
mediante l’affiorare in superficie del livello iletico dell’immagine che,
analizzata a tale profondo livello di esistenza materiale, fa emergere il dato
archetipo di cui è informata e che reiterante, dà consistenza visibile alla
volontà creativa dell’artista.
Più che “materiali di sogno” le ultime opere di
Ianni potrebbero essere pensate come ricerca continua dello stato di coscienza
del sogno o di una condizione di esistenza primigenia, precedente alla
formazione dell’universo in cui il pittore sonda gli elementi fondanti il micro
e il macro-cosmo, ne saggia le componenti che poi visualizza nei segni
fluttuanti, ancora principio di vita extragalattica o di vita dell’inconscio.
Dati ancestrali o dati fantastici che siano, ciò
che è importante comprendere è che Ianni elabori tali elementi del proprio
codice espressivo attraverso la logica dell’intuizione: quella particolare
capacità di afferrare i nessi essenziali delle cose comune a gran parte degli
artisti. La dimensione dell’arte, in fondo così prossima agli stati
metapsichici ed alla perenne demiurgia dell’universo, si presta, come Ianni ci
dà testimonianza attraverso le sue opere, a rendere visibili le suggestioni
dell’anima ed a svelare l’intima essenza dei sogni, tendendo la mano
all’infinito.
Maria Augusta
Baitello 1996
Ho conosciuto Stefano Ianni alle sue prime manifestazioni artistiche; l'ho ritrovato, nel 1997, al mio ritorno in Abruzzo, artista affermato, già acquisito nel contesto del Museo d'Arte Contemporanea della Soprintendenza - come pure da altri Musei italiani -, sono stato testimone del successo della sua Personale romana - gennaio 1998 - all'Associazione Abruzzese di Piazza Cavour, presenti, tra il folto pubblico, critici qualificati, tra i quali Lorenza Trucchi, Presidente dell'Ente Quadriennale di Roma, Carlo Fabrizio Carli, Mario Padovan, Domenico Guzzi.
Da ciò la decisione di patrocinare, come Soprintendenza, una sua Personale al Forte Spagnolo di L'Aquila, che coincide con due importantissime presenze: la rassegna "da Valori Plastici a Corrente" e la Personale di Enrico Benaglia.
Dell'iter artistico di Stefano Ianni vanno ricordate, in sintesi, le fasi dei vari cicli con i quali si è cimentato, da "Cavallinità e labirinti" a "Moduli nel labirinto", da "Segnali nel labirinto" a "Materiali del sogno", fasi documentate in numerose personali, tra le quali due al Forte Spagnolo di L'Aquila: quella del 1989: "Mammuth, due pittori una presenza: Luca Alinari e Stefano Ianni" e quella del 1994, con l'inizio del ciclo dei "Materiali del sogno".
L'analisi critica della produzione di Stefano Ianni è stata effettuata, da par suo, da Caterina Lelj, che conclude: "Siamo agli annunci di tutta una civiltà dell'arte, che ha tolto di mezzo la logica naturale, per regalarci il sogno. E questa è stata ed è la fatica di lanni e dei materiali. Dice l'artista: essi sono colore collegati a problemi di spazio, di forma, di luce. Possiamo dire ora, che siamo ad un momento alto della pittura di questo giovane artista".
Architetto Giovanni Bulian Soprintendente ai B.A.A.A.S. per l'Abruzzo 1998
Una irreale realtà ignota
Stefano Ianni è sulla breccia dal 1984. E d'allora
stupisce la sua capacità e quel crescere appariscente dell'aulica gestualità.
Stupisce quel vagabondaggio. L'invenzione fantastica e la natura poetica sono
ricche di sostanza spirituale. Cavallinità.
Moduli nel labirinto. Segnali nel labirinto. Materiali del sogno ci illustrano
ij viaggio e l'attuale punto d'arrivo.
Cominciò,
dunque, giovanissimo Stefano lanni, con un gesto capace, gridante l'urgenza
di programmarsi vivo. Era un'affermazione generosa, una spettacolare giostra
delle forze, che l'uomo non doma, nella indomabile volontà di vivere. Entrarono
così in campo le composizioni della Cavallinità e, l'occhio fino di Crispolti annotò, meditò, e diede il via al
discorso critico.
lanni, artista colto e studioso,
ad un certo momento depose le armi sfrenate, e nel territorio del Labirinto
cominciò la riflessione. Furono prima i Moduli del 1988. La fantasia
colore è investita da una forza architettonica, che costruisce forme e spessori
di geometria inventata, teoremi non risolti, forme chiuse senza gesto, cristalli ripetuti in un serrato
monumentale schierarsi. Ma i Moduli possono anche, via via,
perdere la concretezza, diventano musica di animazione e del profondo, emergono
i colori gridanti, note d'orchestra rosse, gialle e una danza turchese.
Del viaggio nel Labirinto.
Francesco Desiderio scriveva nel 1990 che questo motivo: "... esprime con grande immediatezza la condizione
dell'uomo nel nostro tempo: una condizione di ricerca
perenne e senza risultati". Nel Labirinto di Ianni, dove la Cavallinità
ha trovato la sua battuta di arresto, si sono scoperti i Moduli, che sono corpi cristallini, o anche intrecci dalla gestualità
impenetrabile. Si viaggia alla cieca
nel ritmo ripetitivo e ondulante del colore.
Nel Labirinto, poi, in una
spazialità dell'ombra, stanno radicati i Segnali. Non è più il grande temporale del colore, nella
visione ordinata di corpi architettati, sono essi che sbarrano la
strada, ma si tratta di pareti striate di luce, pareti di cristallo, e dinanzi a noi i Segnali. Volano, metamorfosi di
farfalle, e arabeschi come fiori prepotenti. Sono ardue pagine
trasparenti. Il sensibile incunabulo nasconde
il suo mistero e lascia a noi scoprire la musica.
Tommaso Paloscia nel 1989
accennò, in una sua nota, all'ironia di Stefano Ianni. E l'ironia è fortemente
appariscente, quando ai piedi di quelle pareti, che paiono
fazzoletti striati di luce, compaiono gli abitatori, sono innocui, stanchi cavalli, innocui grassi elefanti. E questo dunque
il luogo del demoniaco mistero? Ma,
perduto, qui, il sapore della leggenda antica, qui comincia l'alba della
poesia, e comincia con la
palpitazione del colore. Nel 1990 Giuseppe Rosato osservava: "... è il colore che intende offrirsi come
tema e ragione."
Nel territorio dei Materiali
del sogno palpita la meraviglia. Una cornice di legno ci sottolinea un frammento di quell'universo senza
confini. Ed è la cornice un lavoro di
legno, un oggetto d'arte che lanni ha inventato; esso inquadra la parte alta
del dipinto e si interrompe a metà
dei fianchi. Sul piano di posa poi un sasso è addossato al legno, un grande sasso rotondo. Esso è
simbolo del mondo naturale e sta lì a confronto con l'opera dipinta, che è la
forma simbolo dell'immaginario. Natura e pensiero,
dunque a confronto, come corpo e anima. Dalla Cavallinità alla pura spiritualità. Così Ianni ha costruito l'universo.
Universo del corpo e dell'anima. E la pittura
è al suo vertice.
Le estensioni degli ultimi dipinti vivono
l'immensità del creato. Sono essi cielo, terra, e profondità marine. L'uomo non
è ancora nato. La terra è vista prima dell'alba, ignora il sole, lievi
cordonature brune attraversano lo spazio incolore.
Emerge una bellezza melanconica, disabitata, una irreale realtà ignota. Una grande tristezza è il presagio del male
oscuro che regalerà il tempo.
Il dipinto del Cielo
è un immenso sconfinato azzurro, il sole è la torcia, il riflettore. Il ciclo vive così la sua meraviglia. E un
universo purissimo, non contaminato da
certezze. L'invisibile gli regala il sublime e la sua astrazione è quanto
l'infinito. Così anche i percorsi
sottomarini dell'Oceano sono una grande bellissima poesia. Cielo,
terra e mare, nell'autonomia della loro magnificenza, fanno parte dei Materiali del sogno. Siamo agli annunci di tutta una civiltà
dell'arte, che ha tolto di mezzo la
logica naturale, per regalarci il sogno. E questa è stata ed è la fatica di Ianni, e dei materiali. Dice l'artista: essi sono
colore, collegati a problemi di spazio, di forma, di luce. Possiamo dire, ora, che siamo ad un momento alto
della pittura di questo giovane
artista.
Caterina
Lelj 1998
PERIMETRA
Confine vivo per delimitare un
vuoto pulsante; territorio di nuove sedimentazioni; geografia mutoide dove si
raccoglie il bordo centrale di uno sguardo decentrato sul mondo; perimetro che
sintetizza interno ed esterno in una dogana fisica della materia...
STEFANO IANNI inizia e agisce
dove l’opera solitamente si completa o decora. Parte quindi dal perimetro,
dalla zona volumetrica che chiamiamo, per comodità diffusa, CORNICE. Da alcuni
anni, proseguendo un’azione figurativa che prima si esplicava sulla tela,
agisce sopra/dentro la struttura quadrata che ingloba la normale area interna.
Il personale rigore e la delicatezza del progetto hanno imposto, però, una
modalità inflessibile: cornice di forma sempre quadrata, dimensioni standard
tipo il 50x50, utilizzo di pochi materiali che tornano in modo ossessivo,
riferimento costante con alcune materie del paesaggio. Dentro la nettezza di
questo regolamento autoimposto, la libertà naviga come un flusso ondivago di
colori e forme. Il riciclo dell’artista si congela nella gommapiuma o nelle
resine che compongono le cornici. Lì dentro e sulla pelle stessa della materia
cresce la manipolazione formale del progetto PERIMETRA. Un’operazione che
arriva dopo anni di pittura su supporti tradizionali, interessata alla
superficie ma anche all’invasione oltre i bordi, oltre le due dimensioni. Tanto
ieri quanto oggi, comunque, permane l’ambiguità tra gli aspetti astratti del
reale e le figurazioni sospese dell’invenzione: a conferma che si può leggere
un pezzo di mondo con ONESTA’ ICONOGRAFICA, APERTURA STILISTICA e AMBIGUITA’
SEMANTICA.
La cornice è un dilemma fecondo
che stimola plausibili soluzioni. Giulio Paolini, ad esempio, ne ha analizzato
la concettualità autoreferenziale. Il Futurismo, invece, ne evocava il valore
attraverso il debordamento della pittura sulla cornice stessa. Fabio Mauri
dipingeva un bordo interno all’opera, circuitando la cornice nel codice filmico
della pellicola e dello schermo. Discorso simile, sempre nei primi anni
Sessanta, per i monocromi di Mario Schifano tra televisione e cinema. Dagli
anni Settanta, poi, la pittura aniconica stabilisce relazioni tra il muro
bianco e l’opera-cornice. Come nel caso di Pino Pinelli con le sue strutture
colorate che racchiudono il muro entro le geometrie seriali del suo stile. Nei
giorni recenti ricordiamo, invece, le gomme di Paolo Canevari, ovvero, semplici
listini di camere d’aria per incorniciare grandi porzioni di candide pareti. La
cornice, insomma, apre svariati canali sulle ragioni del quadro e dei materiali
compositivi. Stimola riflessioni diversificate, talvolta troppo criptiche,
altre volte sbilanciate sulla materia o sul colore, comunque importanti per
aggiungere informazioni visive e morali sul quadro contemporaneo.
Guardando l’attuale progetto di
Stefano Ianni parlerei di QUADRO PERIMETRALE e non più di semplice cornice. Non
ci sono limiti congeniti alle parole ma vincoli che derivano dalla
consuetudine, dall’uso sedimentato, da retoriche intoccabili. Per tale ragione
il termine cornice indica appena una piccola parte del percorso di Ianni. Un
inizio da cui prosegue il viaggio stilistico nella materia, nel colore, nella
geometria, nella serialità di pezzi sempre unici. La cornice si tramuta così in
superficie definita dell’opera. Esalta la presenza laterale, il concetto di
bordo, le dialettiche tra pieno e vuoto. Un perimetro che tesse la trama di uno
spazio rivitalizzato, posto ormai al centro dello sguardo trasversale.
La cornice racchiude un mondo
pittorico, tiene compressa l’energia dell’opera, evitando l’ideale (e non reale
visto che ogni quadro può vivere senza cornice) dispersione iconografica di
certi lavori su carta o tela. L’arte contemporanea, però, ha insegnato che
molti quadri preferiscono la pulizia del solo telaio. Talvolta, poi, scopriamo
che proprio l’attualità propone cornici specifiche per esigenze diversificate.
La fotografia su enormi cibachrome, ad esempio, ha rivoluzionato la tipologia
delle cornici imponenti. La stessa arte digitale sta contribuendo a nuove
riflessioni sui supporti non soltanto decorativi. Talvolta assistiamo anche al
contrasto tra la sintesi dell’opera e il citazionismo barocco della bordatura.
Come nel caso di Luigi Ontani, maestro di narcisismi (erotico)fiabeschi in cui
la cornice esagera la presenza, impone la diversità, sfrutta i riflessi della
foglia d’oro. Per Michelangelo Pistoletto, ad esempio, uno specchio diviso in
più parti sfruttava il valore architettonico di un grande perimetro. L’arte più
riflessiva ha spesso valorizzato le “zone morte”, i bordi e il retro del
quadro, i telai e l’intero scheletro dell’opera. Una lezione complessa che ha
ispirato, direttamente o indirettamente, il nuovo progetto di Ianni. “Perimetra” era la miglior sintesi per
chiudere il percorso in una parola definitiva. Un solo termine che suona come
un cerchio leonardesco dai moduli serrati ma dagli orizzonti infiniti.
La perimetrazione accerchia una
storia interna, blocca la superficie in un confine che protegge e conserva. Ma
la perimetrazione indica anche la presenza di un terreno esterno, di influssi
lontani che influenzano la struttura stessa del perimetro. Il perimetro è un
diaframma doganale che lega esterno ed interno. Crea continue comunicazioni,
dialettiche insospettabili e avvincenti, vicinanze tra entità straniere. Il
perimetro rappresenta la superficie del collegamento.
Dopo alcuni anni in cui la
riflessione si concentrava sulla superficie e i suoi sconfinamenti, Ianni ha
rivoltato la ricerca per vedere come l’esterno si avvicina alla superficie. I
valori morali sono rimasti gli stessi, così come la soluzione formale collega le
precedenti tele ai recenti quadri perimetrali. Per l’artista abruzzese i
riferimenti costanti vanno al mondo esterno, alla vita quotidiana, agli scarti
della metropoli, ai pezzi di natura. Adesso, però, quei brandelli del vissuto
conservano la loro intatta presenza. Non c’è la pittura a sublimare una visione
del mondo. Ritroviamo l’ipnosi della materia che si “solidifica” dentro le
cornici trasparenti. Una sorta di riuscito congelamento che blocca sabbie di
svariata provenienza, soldatini, biglie, perline e altro. Talvolta si aggiunge
la materia pittorica per “vestire” certi spazi del vuoto. Oppure il vuoto
stesso diventa un territorio più vivo delle zone d’accumulo.
Ogni opera stabilisce relazioni
onnivore tra verità e finzione, tra sintesi ed eccesso, tra collettività e
individuo, tra gioco e metafora. Ianni indaga le zone anonime del quotidiano,
gli spazi interstiziali del paesaggio, gli scarti e gli oggetti che emanano
un’energia anomala. In questo check antropologico ha senso l’ATTEGGIAMENTO
TRASVERSALE, l’unico che certifica un plausibile dialogo tra parti
contrastanti. Verità e finzione, ad esempio, sussistono nel momento in cui
l’opera alimenta la molteplicità semantica di ogni presenza. Il soldato di
plastica deve così rimanere un gioco colorato per sublimare il reale nel
modellino; al contempo, deve determinare un atteggiamento morale, evocando
fantasmi di violenza che l’opera congela in modo vigile e provocatorio.
Contrasti e trasversalità sono il motore e la benzina del progetto di Ianni, la
risposta formale al contenuto e viceversa.
La curiosità onnivora conduce
l’artista nel paesaggio urbano, lungo le spiagge dei litorali italiani, dentro
i luoghi della vita e nei punti incontaminati della natura. Il suo saccheggio
creativo mi porta, non a caso, ai ricicli che Claudio Marini mescola dentro una
pittura selvaggia, incendiaria, satura di rabbia e amore. Anche Ianni si muove
in modo bulimico, indaga tra relitti e scarti civili, nobilitando la spenta
vitalità della plastica, del vetro o di semplici sassolini marittimi. L’intero
percorso nasce così da un’indagine continua sul territorio. Ianni cerca la
potenzialità pittorica degli elementi esistenti, la valenza cromatica delle
cose comuni, l’energia figurativa di oggetti improbabili. Le forme scelte, non
a caso, sviluppano percorsi cromatici, riflessi e trasparenze, ampie scale
tonali. Ogni oggetto diventa materia pittorica che si dispone in modo compatto,
come se gli accumuli fossero zone di puro acrilico in tubetto. La viscosità
sintetica dei quadri ha un’impalpabile valenza mutante, raccontando la propria
intensità nelle soluzioni sempre diverse dello stile.
Superato il limite verbale della
cornice a favore del quadro perimetrale, andiamo nella zona interna di questi
quadrati alchemici. In realtà l’opera sviluppa la sua piena natura in rapporto
alle soluzioni per la superficie contenente. Qui dentro, ad esempio, possiamo
non trovare nulla: ed ecco che il muro bianco o l’ambiente fisico si
introducono nell’opera, la influenzano, aggiungono valori installativi. La
logica non è certo innovativa ma regala spunti di nobile riflessione. La
differenza costruttiva, infatti, la fanno i termini costitutivi della cornice.
Gli elementi bloccati all’interno o le volumetrie della gommapiuma dipinta
creano complesse relazioni con lo spazio reale. Un gioco di continua
simulazione (anche nel far passare un materiale per un altro) confonde le
certezze visive, apre al dubbio, amplifica la ricerca di una risposta. Ogni
volta percepiamo la vitalità di cose che erano nel mondo e vi tornano ma dentro
uno spazio diverso, glaciale, ambiguamente acquatico. Altre volte, poi, al
vuoto interno si sostituiscono altre materie vive: disposte su singole
porzioni, in ordine militaresco o per disordini controllati, come se il gesto
fisico divenisse un dettato pittorico che evidenzia le armonie cromatiche.
Infine, ci sono quadri dove le stampe digitali riproducono i dettagli
ingranditi di alcuni materiali nella cornice. Qui la tecnologia si presta al
senso contaminato dell’intero progetto. La natura recupera l’artificio
tecnologico ed esalta i pattern pittorici delle materie vive. Per Ianni
l’elettronica è un passaggio funzionale nella complessità della natura
contemporanea. Il quadro registra così le nature artificiali del presente attraverso
i mezzi dell’innovazione. Manualità e tecnologia confermano un dialogo ormai
diffuso, forse uno dei momenti più utili per dare contenuti importanti alle
evoluzioni estetiche dei nostri giorni.
Il lavoro di Ianni parte quindi
da un continuo accumulo di materie reali. La sua azione sceglie diverse spiagge
con caratteristiche peculiari, legate alla storia etnografica e geologica di un
territorio. Dai colori e dalla consistenza dei sassi ci rimanda a percorsi
geografici, valori culturali, specificità antropologiche. Nonché ad ispirazioni
personali, a suggestioni e slanci emotivi. Gli stessi soldatini in plastica o
le biglie diventano parte del dinamismo umano che anima i paesaggi. I piccoli
giochi richiamano valori storici, temi metaforici, simbologie di facile o
complessa interpretazione. Ma anche qui, seguendo il filo sentimentale, i
giochi ci portano verso le suggestioni sue e di chi usa lo sguardo in modo
emozionale. Ogni elemento connette la macrostruttura del mondo con le
microdimensioni dell’esperienza individuale. Una sorta di passaggio energetico
tra la presenza effettiva delle cose e il loro disporsi nello spazio
perimetrale del quadro. L’artista compie la glaciazione controllata di
frammenti evocativi del paesaggio contemporaneo.
Il progetto per L’Aquila nasce
nei termini effettivi di un impianto coerente e sinergico. Il catalogo, ad
esempio, si pone come quadrato perfetto che occupa l’ideale zona vuota dentro
il bordo. Una tiratura speciale, inoltre, prevede una cornice come contenitore
fisico del prodotto cartaceo. Si tratta di un’opera a tutti gli effetti,
prodotta manualmente come i quadri perimetrali della mostra. La grafica del
catalogo, poi, racconta la materia attraverso i fondali delle singole pagine.
Gli ingrandimenti e le sfocature di ogni opera occupano l’area dentro la
cornice, si contaminano con le parti esistenti del quadro. Infine la mostra,
momento di sintesi definitiva del cerchio progettuale. Il luogo prescelto
simboleggia la chiusura protettiva di un edificio che perimetra la propria
sicurezza difensiva. Usare uno dei bastioni significava entrare nel cuore di
una cornice architettonica, nella struttura concentrica in cui la superficie
del vuoto diviene spazio espositivo per l’installazione.
I quadri perimetrali dialogano
tra di loro, distillano nuove evidenze attraverso l’allestimento fisico nello
spazio. L’ambiente cambia nel momento in cui il quadro “mangia” una porzione di
luogo. L’opera inquadra la fetta di ambiente prescelto e ne sottolinea
l’autonoma bellezza.
Ogni vuoto mostra una sua forma
di pienezza.
Ogni pieno mostra una sua idea di
sintesi.
Incorniciare per aprire lo
sguardo oltre lo spazio interno...
Gianluca Marziani 2002
DAL SEGNO ALLA GOMMAPIUMA
Parte dal segno il viaggio
espressivo di Stefano Ianni: il segno come traccia, come gioco, come
dimensione, dapprima mentale e dopo miocinetica, che crea i semēia, come li
chiamavano gli antichi greci, ovverosia le testimonianze visive di un vissuto
esistenziale che eraclitamente trascorre dentro il tempo e nello spazio. Ma il
segno è anche un’impronta del sogno e quindi può essere – come di fatto è nella
produzione giovanile dell’artista aquilano – strumento di costruzione onirica e
lirica del reale. Sicché esso si compone in figure per raccontarci cose leggere
come l’aria, poesie visive bilicate tra la fantasia infantile e quella degli
adulti che non vogliono rinunciare alla possibilità di rimanere, almeno in
parte, bambini. Fino a quando si trasforma in un labirinto (quindi in una
sequela più complessa, quasi un’architettura di segni combinati) che
rappresenta uno schema antropologico simbolo della multiformità del composito
processo esistenziale.
Nel periodo creativo del quale
stiamo parlando – e che corrisponde grosso modo agli inizi del decennio Novanta
del secolo scorso – si fa evidente il suggerimento stilistico derivato da certi
esiti europei (quelli che Alberto Boatto ha giustamente definito “poetiche
dell’oggetto”) della originaria Pop-Art anglo-americana.
Poi il segno, nel procedere
linguistico di Ianni, si apparenta con il colore (anch’esso segno dell’anima) e
così la narrazione semiotica si fa anche racconto cromatico in un sodalizio
che, come avveniva nei matrimoni solidi d’un tempo, non subisce più separazione
alcuna. Ad un certo momento (più o meno verso la metà degli anni Novanta)
compare, all’orizzonte del lessico del nostro artista, la “cornice” che pone
confini al dinamismo segnico e cromatico. Ma si tratta di confini che non
sottolineano tanto il senso del limite quanto piuttosto agiscono da esaltazione
della superficie dinamica e di ciò che in essa si verifica. La cornice,
insomma, separa due spazi , quello del quadro vero e proprio (il piano di
proiezione all’interno del quale segni e pigmenti pittorici si susseguono e si
rincorrono) e quello che sta al di fuori del dipinto e nel quale, con la sua
fisicità, vive ed opera il mondo che si intende rappresentare attraverso la via
dell’interpretazione.
La cornice non è un elemento
gratuito, obbligatorio e dunque sostanzialmente anonimo. Al contrario essa si
carica di valenza estetica, si fa terzo elemento linguistico (dopo il segno e
il colore) a fondamento della grammatica del pittore abruzzese. Perciò diventa
oggetto curato, intagliato, elaborato insomma da una sapienza artigianale
trasformata in qualità artistica e, in quanto tale, concorrente al risultato
finale di artisticità dell’opera che la ingloba facendola propria. In questi
cicli pittorici del “perimetro” non esiste il quadro con la sua cornice, ma il
quadro è costituito anche dalla cornice. Presto il segno, pur restando il dato
di partenza dell’avventura espressiva di Stefano Ianni, non basta più a
connotare, coniugato col colore, la parte centrale dell’elaborato pittorico.
Nell’artista si sviluppa e si palesa un bisogno di concretezza che sia capace
di dare materialità e spessore al mixage segno-colore il quale deve restare
caposaldo del dire artistico, ma caricandosi anche di una valenza plastica. E’
così che nella porzione centrale
dell’opera entrano i materiali di natura combinati con quelli artificiali della
produzione industriale.
Siamo sul finire degli anni
Novanta e al principio del XXI secolo: le opere si compongono di resine, di
sabbia granitica, di sabbie miste, di plastiche, di legni, di sassi, di
gommapiuma e, poiché la tecnologia avanza, anche da segni di quella
informatica, con “fogli” di pittura digitale inserita all’interno del racconto
di Ianni che, in appena un decennio, si è linguisticamente irrobustito.
Non v’è dubbio che l’artista
aquilano sia rimasto coerentemente legato ai valori emozionali, al sentimento,
a quella scossa sensuale attraverso la quale si pone in libertà la dimensione
spirituale degli individui. A partire dal segno – che era lirico sin dagli
esordi – egli ha via via arricchito il suo portato lessicale di elementi
eterogenei ma tutti accomunati dalla medesima volontà e dall’attitudine a farsi
veicolatori del sentimento. I legni, le plastiche, le sabbie, le pietre,
variamente combinati, hanno sempre sortito l’effetto di dar vita ad un fil
rouge, sotteso alla struttura linguistica, di natura lirica e sentimentale.
Sicché uno dei materiali utilizzati ultimamente, la gommapiuma, gli si è
rivelata come strumento formidabilmente adatto alla trasmissione delle energie
emozionali con cui egli, poeta visivo, intende continuare a raccontare il mondo
e a proiettare all’esterno di sé la sua personale componente fantastica.
La gommapiuma è un materiale
morbido, morfologicamente enfio, che può diventare finanche debordante ed in
una riproposta delle modalità espressive neo-barocche (per certi versi presenti
nel nostro tempo come imprescindibile necessità di risposta a pressioni
razionaliste esasperate) esso si presta egregiamente ad offrire risposte
sensuali ed emozionali agli interrogativi esistenziali contemporanei. Perciò
Ianni la sceglie come protagonista delle sue ultime produzioni. Un gommapiuma
che si traduce in volute semisferiche, che assume una verosimiglianza carnale,
che accentua la sua tendenza iperbolica grazie al colore, che punta a
conquistare ogni spazio e che radicalmente stravolge il concetto tradizionale
del quadro come porzione di spazio
delimitato geometricamente dalla cornice rettangolare o quadrata.
Anche se, come abbiamo già detto,
la cornice di Ianni non è mai stato un segnale di limite ma, all’opposto, quello di una vera e
propria componente dell’opera, essa finiva però pur sempre per segnare l’esistenza
di due spazi fisici: quello del manufatto artistico e quello del mondo. Oggi il
debordare della gommapiuma fagocita la cornice, la trascina dentro di sé e da
segno indicatore di due spazi distinti la trasforma in un elemento lessicale interno.
In questi ultimi lavori Ianni
accentua il movimento che da virtuale e rappresentativo qual era all’inizio, al
tempo degli esordi segnici, ora si fa reale e veloce (perché agisce con la
stessa velocità del tempo moderno) e, auditivamente parlando, diventa musica
sinfonica in crescendo espansivo. Dal punto di vista sentimentale esso
costituisce sicuramente un’accentuazione emozionale e tende ad un fine di
rappresentazione persuasiva: forse perché proprio di questo c’è oggi bisogno in
quanto, mentre si fa un uso esasperato e fittizio della razionalità elevata a
mito falsamente risolutore di tutti i problemi del mondo, sembra che in realtà
si stia smarrendo del tutto l’uso della ragione. E allora se le lingue parlate
che l’uomo utilizza non servono più per capirsi ( ci avviamo velocemente verso
una nuova era da Torre di Babele?) si dia spazio ad un linguaggio di portata
più universale e trasversale qual è quello dei sentimenti non inquinati e
deformati dagli apparati ideologici il quale, attraverso la sua manifestazione
più propria, l’arte, sappia far riflettere l’umanità per indurla al recupero
delle sue origini unificanti. Pena la distruzione del creato.
Armando Ginesi 2007
Non ho mai chiesto a Stefano Ianni se al
fondo del suo ciclo iniziale, che intrecciava cavalli e labirinti, avesse mai
presentito l’oscura e problematica presenza di Poseidone, che in tutte le forme
in cui i due miti greci si danno, costituisce una specie di drammatica ed
imperiosa condicio sine qua non perché
le vicende possano essere narrate. L’essenza del cavallo, d’altra parte, è
marina, e Ianni sembra proprio volerne inseguire la traccia, piegandola a farsi
riflesso di luce sullo sfondo del mare. Se in quegli esperimenti ormai lontani,
era il segno a farsi carico dell’inquietudine – la schiuma bollente
dell’immagine che trasponeva insieme il furor
incontrollabile del gesto stesso della pittura –, gesto e segno si allargano
nella produzione successiva, attraverso contrapposizioni in cui il colore
interviene principalmente come ritmo di una narrazione invasiva, assorbente,
totale, strutturando vortici di flutti o rivelando il fiorire interno delle
nebulose siderali, dando il taglio
cromatico di un sogno e esponendone la materia come incisione d’anima. Credo che questo sia il motivo delle operazioni più divertite ed
originali con le quali Ianni inaugura la sua stagione attuale: proprio quel furor, quell’elemento che chiude insieme fiato e
schiuma, si organizza dapprima come taglio, liquidità, operazione di selezione
e definizione delle forme interne alla cornice, di cui leviga e definisce la
disposizione, spesso obbligando l’autore ad accogliere la presenza evocativa
della sabbia; poi, diventa
contrapposizione, contrappasso cromatico che esplode verso la cornice stessa e
la definisce in rapporti di inversione col contenuto, disegnando e plasmando di
nuova vita entrambi, fino a farsi trasparente di sé; in ultimo, la schiuma
tende ad imporsi e ad assorbire per intero le forme che contiene. Sappiamo che
alla schiuma si connette una
delle branche più attuali della fisica cosmica: Ianni sembra esserne
consapevole ma aggiunge il tono, la direzione, il colore e la contrapposizione
delle forme che la schiuma può assumere. Ne fa elementi cangianti di
un’evoluzione non discreta e non contenutistica, emozionale, per evocare altri
sensi nel processo dell’interpretazione. Anche qui, a suo modo, il colore è
traccia ludica ed ontologica insieme: il provvisorio stato d’essere, quasi
neutro, del Cavallarmato del
2004 (in cui l’elemento cromatico
si rivela solo in un taglio, che definisce l’opera come meccanismo) non è diverso da quello delle coloratissime nuvole
delle opere coeve: nella prima, l’elemento cromatico si rivela in un taglio,
dicevamo, che mette a nudo il meccanismo
interno; nelle seconde, agisce verso l’esterno come dissoluzione o dissipazione
(fino a proporre una sua liquidità che, intervenendo la luce, diventa sconfinamento di toni e presenze
sulla cornice - frame); mentre
all’interno si fa legge, e definisce, seziona e contrappone il movimento, quasi
tattile, della presenza.
Marcello
Gallucci 2007
IN VIA ROSSO GUELFAGLIONE
E’ una via stretta e silenziosa.
Stranamente tranquilla per essere nel cuore del centro storico dell’ Aquila e a
dispetto del personaggio a cui è intitolata: Rosso Guelfaglione, un capitano di
ventura del XV secolo, un tipo sicuramente poco raccomandabile. E' in questa
via però che in un antico e suggestivo palazzetto vive e lavora Stefano Ianni.
Non appena si varca il portone di
ingresso ci accoglie un odore di altri tempi. Nel cuore dell'abitazione però è
tutta un'altra storia. Non sembra neanche di essere a L'Aquila. I colori delle
stanze, le opere appese o sistemate in ogni angolo e soprattutto l'ariosa
atmosfera del ballatoio - terrazza fanno di questo luogo un posto fuori dal
tempo; la presenza dell'artista, del suo pensiero, della sua ricerca si respira
in ogni parte eppure "...il luogo dove abito non deve coincidere con il
luogo del fare - ci dice sicuro Stefano Ianni - la mia casa ha spazi ben
separati perché non voglio nessuna distrazione, nessuna contaminazione quando
lavoro". Insomma l'arte vissuta come assoluto ma non separata dalla vita
quotidiana perché se è vero che lo studio dell'artista è situato al piano di
sopra dell'abitazione è pur vero che quest'ultima è il luogo della riflessione,
della lettura, della quiete feconda " soprattutto questa parte della casa
( la veranda di in un azzurro intenso e dalle grandi tende bianche) è un angolo
speciale dove amo rilassarmi magari con una buona lettura. Qui ho voluto
recuperare l'antico aspetto del palazzo che nei decenni scorsi era stato quasi
completamente cancellato dalle diverse necessità dei vari inquilini. Attraverso
uno studio ed alcune immagini antiche scoperte tra i miei libri ho potuto
ricostruire lo spazio originario con i suoi tendaggi ma anche il suo colore,
questo azzurro carico, trovato per caso sotto vari strati d'intonaco".
Si sta bene in questo posto, si
può chiacchierare in tranquillità sorseggiando un ottimo caffè preparato dal
padrone di casa. E le chiacchiere quando si ha di fronte un artista non possono
che avere come argomento l'arte, soprattutto il suo fare arte.
"La mia arte è il risultato
di tante sedimentazioni, non c’è un luogo in particolare da cui traggo
ispirazione. Io, anche per il mio impegno di insegnante presso l'Accademia di
Belle Arti, ho girato e vissuto in molte città italiane ed ho così sviluppato
una discreta sintonia con le esigenze dei linguaggi contemporanei; questo non
ha fatto altro che rafforzare in me la necessità di restare ancorato alla
tecnica".
Una tecnica o meglio tecné che
nasce in funzione dell'idea, dell'ispirazione. E' così, infatti, che prende
vita la sua ultimissima produzione una serie di opere - gommapiuma - schiuma
dai colori fortissimi quasi acidi dove l'artista osa accostamenti e forme
impensabili che grazie al materiale usato, offre risposte sensuali ed
emozionali.
A prima vista respingenti queste
opere diventano poi amichevoli e accoglienti... basta toccarle... "E' una
gommapiuma - scrive Armando Ginesi in uno degli ultimi cataloghi dedicati
all'artista - che si traduce in volute semisferiche, che assume una
verosimiglianza carnale, che accentua la sua tendenza iperbolica grazie al colore,
che punta a conquistare ogni spazio e che radicalmente stravolge il concetto
tradizionale del quadro come porzione di spazio delimitato geometricamente
dalle cornici rettangolari o quadrate".
Ecco è proprio questo ultimo
pensiero che ritroviamo anche nella casa di Stefano Ianni: non più spazi
delimitati e precisi ma un fluire unico di elementi e di vita vissuta. Perché
se è vero che in questa casa non c'è nulla che riguarda il lavoro nel suo farsi
del proprietario, è pur vero che i segni e le testimonianze di quasi
venticinque anni di attività sono tutti lì, ben presenti ed inevitabili a
chiunque.
Così da una stanza all'altra si
ripercorre anche la ricerca estetica che ha portato Stefano Ianni alle sue
creazioni recenti. "Nel mio rifugio ho, inevitabilmente, ricreato il mio
mondo che è fatto soprattutto della mia arte".
Fin dagli esordi nel 1983 quando
le sue creazioni erano dettate da un segno evidente e fortissimo, segno come
gioco, come traccia, come dimensione mentale; un segno che man mano si colora
che diventa racconto cromatico in un sodalizio ancora oggi inseparabile. Finché
non arriva la cornice che superando la tradizionale obbligatorietà si carica,
nelle opere degli anni novanta, di valenza estetica, si fa terzo elemento
linguistico, dopo il segno e il colore, e fondamento del suo lessico ".
“E’ stato questo il momento di
inizio della sperimentazione che oggi mi ha fatto approdare alle opere
realizzate con le schiume. Materiali e tecniche che però mi permettono di
elaborare i miei ricordi, quelli di vita vissuta, nascono così, per esempio i
lavori dedicati alle sabbie di tanti luoghi visitati; veri e propri ready made
congelati in uno spazio senza tempo".
E' tutto questo quello che si
ritrova nella casa di Stefano Ianni, lavoro e vita inscindibili ed
indissolubili in maniera tale che ognuno si nutra e viva dell'altro. Così il
passaggio dall'abitazione allo studio non cambia lo scenario. C'è solo più
confusione, quella confusione di una vera e propria fucina. Per il resto torna
la stessa atmosfera colorata e serena del piano sottostante, certo qui lo
sguardo si sorprende ad ogni battito di ciglia: tele, disegni, libri e poi
pennelli, colori e strumenti tra i più strani sono ovunque per ricreare quella
allegra e danzante fisicità delle ultime schiume.
Basta guardarsi attorno e dal
manifesto appeso all'ingresso che recita "Nuovissima ondata Artistica
Abruzzese - Personale di Stefano Ianni, luglio - agosto 1985", alle
schiume di oggi, tutto parla dell'artista e di venticinque anni di lavoro e di sperimentazioni. "Nonostante tutto
- conclude Stefano Ianni - in arte sono un tradizionalista legato alla tecnica
e questa casa nel cuore antico della mia città lo dimostra". Usciamo da
questo incontro e da questa casa con gli occhi e la mente ancora impegnati a
decifrare la gran mole di impulsi e sollecitazioni, nel cuore però resta
l'immagine e il sapore di una terrazza dall'azzurro intenso e dalle grandi
tende mosse dal vento.
Angela Ciano, in
D’Abruzzo n° 83 - autunno 2008
Still
lives and memories in fur
Posseggono le cornici una vita autonoma, una propria
dignità estetica, rispetto al quadro che racchiudono o dovrebbero racchiudere?
E’ nota, ad esempio, la cura dei responsabili di grandi musei per dotare i dipinti
famosi di cornici adeguate, storicamente congruenti. Non è isolato il caso di
qualche tela mediocre, per non dire di qualche misera crosticina, acquistata (e
poi magari immediatamente rivenduta) per accaparrarsi una cornice, invece,
superba. Ma questa è faccenda tutta da museografi se non, addirittura, da
arredatori. Stesso ambito di qualche raffinata bottega antiquaria,
specializzata in preziosi legni intagliati rinascimentali e barocchi, in
selezionati assortimenti di Salvator Rosa
armoniosamente profilate e di eleganti incorniciature impero con le loro foglie
di alloro dorate. E, certo, la cornice svolge un ruolo fondamentale nella
presentazione e valorizzazione di un dipinto: un’opera modesta può trarne una
nobilitazione altrimenti immeritata; e, al contrario, un capolavoro può venire offuscato
e perfino umiliato dalla cornice sbagliata. Fermo restando che, se del quadro
viene senz’altro riconosciuta l’appartenenza al dominio dell’arte, la cornice è
altrettanto automaticamente, benché talvolta sommariamente, relegata nell’ambito
dell’artigianato.
L’interrogativo iniziale era però indirizzato al
contesto contemporaneo, e a questo proposito il referente che balza subito alla
mente è quello dei Futuristi e di Giacomo Balla in particolare. Se,
tradizionalmente, la cornice valeva, al contempo, da delimitazione e da
rispetto visivo di un determinato quadro, Balla e i suoi compagni di strada
aspiravano ad un obbiettivo addirittura opposto. Il dinamismo in pittura
significava anche l’infrazione di quella barriera perentoria tra la pittura e
l’ambiente; la cornice doveva diventare parte dell’opera, essere essa stessa
dipinta e sagomata, assurgere alla nuova dimensione della pittoscultura, farsi
una sorta di sponda radiante verso l’intorno.
Da quasi un quarto di secolo a questa parte (nessuno stupore:
Stefano Ianni è ancora giovane, ma ha cominciato a lavorare giovanissimo, nel
1984, e chi scrive ha avuto l’opportunità di seguirlo fin dagli esordi) egli è
stato fortemente attratto dal tema della cornice, dalla perimetrazione dell’oggetto
estetico. Motivo affrontato dapprima in quanto tale, con il ciclo Segnali nel labirinto, tema quest’ultimo
da sempre particolarmente confacente all’artista. Ianni intendeva allora la
cornice come opera autonoma, improntata ad una vivacissima risoluzione
cromatica, per poi approdare – con il ciclo Materiali
del sogno, che risale al 1993-1999 – alla dimensione plastica, mediante la
risoluzione sagomata e modellata. Ma già con il ciclo Perimetra (2000 – 2002), un titolo eloquente, egli realizzava
singolarissime cornici, mediante l’impiego
di polimeri: materiale, del resto,
che Ianni continua ad usare ancora oggi; e ciò costituisce una delle molte
testimonianze della serrata continuità e coerenza linguistica del suo lavoro.
Non a caso, in Perimetra,
dove operava la lezione futurista, era appunto il ruolo contestualizzante e
perimetrante ad attrarre Ianni; basti tener presente il ricorso, insistente ed eminentemente
metaforico, al topos della cornice
nella cornice, che interessa anche i lavori più recenti di Ianni (In; http.//,
entrambi del 2011).
Un poco alla volta, l’artista è venuto recuperando la
presenza e il ruolo del quadro, della pittura, al punto di accedere ad un
magari sintetico linguaggio pittorico-figurale. Ma, nel contempo, egli ha anche
associato alla tela e ai tradizionali supporti pittorici il ricorso a una
pelliccia di perentorio colore nero, che gli ha consentito di conseguire
svariati risultati: innanzitutto uno cromatico, un fondo misterioso, ricco di nuances, non ottenibile neppure con il migliore
dei colori a tempera; e poi la sorpresa e l’attivazione istintiva del gusto
tattile. Il quadro finirà, infatti, con l’assumere l’evidenza tridimensionale
ed estroflessa di un cuscino, grazie al materiale, che si presenta morbido, di
consistenza quasi spugnosa, ma più raffinato. Riesce istintivo scorgere, in questo superamento dei procedimenti
e dei materiali tradizionali della pittura e della scultura (ammesso che sia
ancora possibile, in regime di contaminazione, una loro identificazione), l’adesione
dell’artista ad un’attitudine tipicamente ibridante e postmoderna.
Ianni si inserisce, a questo proposito, in una dialettica
naturale-artificiale, acculturato-primordiale, che, alla scaturigine prima,
potrebbe perfino evocare il nome di un Pascali; magari all’insegna di una Pop
rivisitata, del resto, parecchio congruente con svariate opere del nostro
artista (basti pensare all’icona illuminante Fur.bi). Ma, a ben vedere, egli rivela a questo riguardo i frutti
della selettiva rivisitazione della costola più ibridata del secondo ‘900, a
cominciare dal New Dada.
Con il che si giunge alla mostra presente in cui si espone
una venticinquina di opere appartenenti all’ultimo quinquennio di attività di
Ianni, peraltro con qualche significativo antecedente. La rassegna si fregia di
un titolo inglese Still lives and
memories in fur (Nature morte e
memorie in pelliccia), da non intendersi come ostentazione di esotismo, in
quanto sarà opportuno ricordare come l’espressione italiana natura morta, così diffusamente entrata
nel parlare comune da non poterne proporre una sostituzione, costituisca in
realtà una formula poco felice, di fronte alla capacità evocativa dell’inglese vita silente. Il termine inglese fur ci riconduce invece alla pelliccia,
ammiccando altresì alle voci latine Furo
e Furor, evocazioni della furia,
della frenesia, del delirio, attitudine cui Stefano Ianni ha affidato l’omonima
opera del 2008.
Si attiva qui l’emersione delle memorie esistenziali: il mare,
la spiaggia, la riviera adriatica. Una vera e propria recherche; basti pensare al vago e lirico riflettersi nella marina
delle case illuminate nottetempo, affidato al registro della descrizione
pittorica; o ancora alle guizzanti composizioni di pesci: e qui l’artista può
pure allacciare i contatti con una tematica rituale della natura morta. Ma l’osservatore vi scorgerà pure la traccia di
più recenti esperienze di vita.
In questo contesto, può talvolta accadere che la cornice
addirittura scompaia. Ricollegandosi al già ricordato ciclo Perimetra, dove l’artista faceva pure
ricorso a tecniche altre come la
fotografia digitale, Ianni avvolge la
composizione con una pellicola di nylon trasparente, includendovi materiali
disparati come la sabbia delle spiagge frequentate, i soldatini dei giochi
infantili, qualche figurina di plastica, e via di questo passo. Si attiva in
questo modo una sorta di analogia con l’ambra che racchiude e conserva al suo
interno l’insetto catturato dalla resina. Anche a questo proposito i referenti
estetici sono molti, a cominciare, poniamo, da un Arman e dai procedimenti
operativi del Nouveau Réalisme; ma interpretati in accezione molto personale.
Il motivo della memoria, inteso ora come traumatica frattura
e distacco, sottende pure alla parte più recente del lavoro di Ianni: il
terremoto dell’Aquila, con la distruzione del bellissimo, tanto amato e curato,
studio in centro città; la drammatica via di salvezza; il forzato esilio a Montesilvano. Non a caso, il
visitatore constaterà uno iato drammatico, il silenzio di un anno intero: quel
fatale 2009.
Le atmosfere notturne, emergenti dal nero vello, e, accanto, le
luminose accensioni cromatiche mi sembrano insomma testimoniare entrambe le attitudini
– il dramma e il riaffermarsi della speranza e della vita – che hanno
presieduto all'attività di Stefano Ianni nell’ultimo, difficile ma anche
vitalissimo, triennio.
Carlo Fabrizio Carli, in catalogo mostra al Mediamuseum, Pescara, gennaio 2013
Dal quotidiano La Città inserto
del Resto del Carlino di martedì 12 febbraio 2013
Still Lives
and Memories in Fur
La storia
artistica di Stefano Ianni racchiusa in un catalogo pubblicato da Noubs Edizioni
Alessandra Angelucci
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Quando
si ama l’ arte è sempre così: le scrivanie si riempiono di libri, di
cataloghi che sanno di storia, di incontri e solitudine, ma anche di amore per
il luogo in cui si vive e di passione per la tradizione che rappresenta l’
animo di chi crea. Quando si ama l’ arte, l’ abitazione in cui si vive prende
respiro dalle opere che si fanno parete e dalla gestualità di quegli artisti
che hai incontrato o che vorresti incontrare.
A
colpire la curiosità questa volta è un catalogo d’ arte pubblicato da
Edizioni Noubs, avente per titolo “Still Lives and Memories in Fur”: un formato
piccolo, elegante, sulla cui copertina è raffigurata una porta di colore
celeste che invita ad entrare in un mondo tutto da scoprire, un mondo fatto di
colori e paesaggi, di tele e cornici, di opere d’ arte che raccontano una
storia, quella dell’artista Stefano Ianni. Di origine aquilana, già conosciuto
ai più come docente di pittura presso l’ Accademia di Belle Arti del capoluogo
abruzzese, Stefano Ianni ha da poco presentato la personale “Nature morte e
memorie in pelliccia” (traduzione del suddetto titolo inglese) presso il
Mediamuseum di Pescara, esponendo ben venticinque opere che hanno messo in
evidenza la maturazione di un nuovo e più recente modo di sen- tire l’ arte e
di vivere l’ intima ricerca espressiva, cominciata nel 1983.
È
“Furor” (anno 2008) ad inaugurare la sequenza dei lavori esposti: un’ opera “di
contatto”, si potrebbe definirla, dove l’ osservatore, se vuole, assume un
ruolo strategico nella composizione e scomposizione della materia che la
costituisce, descrivendo percorsi nuovi al solo passaggio della mano sul morbido
supporto che la definisce. Basti ricordare che il termine anglosassone “Fur”
sta a significare “pelliccia”, sostanza di cui è appunto costituita la base
dell’ opera ed è da questa che ha avuto inizio l’attuale ciclo di lavori.
“Furor” per rappresentare un gorgo, su pelliccia sintetica di colore nero,
metafora di un abisso che assorbe ogni cosa. Un legame semantico si riscontra,
a tal proposito, anche nel titolo inglese della rassegna (Still Lives and
Memories in Fur) che - afferma Carlo Fabrizi Carli - «non è da intendersi come
ostentazione di esotismo, in quanto sarà opportuno ricordare come l’
espressione italiana “natura morta”, così diffusa- mente entrata nel parlare
comune da non poterne proporre una sostituzione, costituisca in realtà una
formula poco felice, di fronte alla capacità“vita silente”. Il termine inglese
“fur” ci conduce invece alla pelliccia, ammiccando altresì alle voci latine
“Furo” e “Furor”, evocazioni della furia, della frenesia, del delirio,
attitudine cui Stefano Ianni ha affidato l’ omonima opera del 2008».
A
partire da questo anno egli si de- dica all’ elaborazione di un nuovo
linguaggio, in cui l’ opera prende vita su un supporto di pelliccia sintetica,
si colora di nuances ben definite, dove a prevalere è il nero con le sue
sfumature, quando a brillare sono le luci dei paesaggi costieri d’ Abruzzo, o
il bianco,
quando
è la natura morta a farsi così vera che sembra quasi guizzare e fuoriuscire
dalla tela, accostandosi così ad un esplicito rimando di sapore realista.
Nature morte che per ossimoro potrebbero definirsi dinamiche e vigorose, tanta
è l’energia del tratto e delle linee che disegnano i corpi dei pesci.
Le
opere presentate attivano ricordi che hanno accompagnato la vita dell’ artista,
ma che di certo possono dirsi propri anche di chi, nella terra d’ Abruzzo, ha
avuto la fortuna di passeggiare sulla riviera adriatica e, da qui, assaporarne
gli odori, i sapori, i colori: pesci azzurri si ravvivano di sfumature argentee
per rendere omaggio ad una tradizione, come quella della pesca, che da secoli
rende attiva la nostra regione, in veste di preziosa risorsa economica.
Non
è soltanto questo, però, l’unico modo in cui la creatività di Ianni si
esprime al fine di omaggiare la sua terra. Il mare e la spiaggia diventano protagonisti
di narrazioni notturne, in cui non c’ è più il dettaglio realista a
prevalere, ma c’ è l’ emozione di un fotogramma, c’ è l’ immaginazione che
rincorre le insenature della coste pescaresi, attimi in cui sono le luci accese
del lungomare ad urlare al mondo che la vita c’è e pullula di speranze, anche
quando è la notte il colore prevalente.
Molto
interessante è il momento in cui l’ opera abbandona la cornice e si fa
tutt’uno con il mondo esterno, essendo avvolta da uno strato di pellicola di
nylon trasparente che Ianni adopera quasi volesse “conservare” la creazione,
lasciando sempre giovane il suo “status” ed accesa la memoria del passato.
La
storia dell’arte lo insegna: la cornice è l’elemento del moto, il suo destino
è l’essere attraversata, l’essere il tramite tra differenti dimensioni.
Demarca originaria- mente il passaggio tra paesaggio e architettura, quale
elemento necessario per dare avvio ad un inizio, ad una nuova partenza. Come
ponte tra il prima ed il dopo, il fuori ed il dentro, la cornice risulta essere
un limite tendente all’ infinito tra il pieno ed il vuoto. La cornice è dunque,
sin dal principio, quell’ elemento capace di delimitare e decontestualizzare lo
spazio, attraverso una chiusura dell’ esterno verso la fruizione dell’interno.
Stefano Ianni rompe questo equilibrio e lo fa nel ciclo “Perimetra” e dei
“Materiali del sogno” (1993- 2009), permettendo all’opera di trovare un nuovo
ritmo, un nuovo spazio, una nuova armonia. Quella medesima conciliazione che
nella sua rassegna sussiste tra sentimento nostalgico e speranza nel domani.
Dal quotidiano La Città inserto del Resto del Carlino di venerdì 26 luglio 2013
Stefano Ianni, art forever
young
A
colloquio con l’artista abruzzese in mostra nella collettiva del Giffoni Film
Festival
Di Alessandra Angelucci
E' giunto alla 43sima edizione il prestigioso Giffoni Film
Festival 2013 che, nato nel 1971 da un’idea di Claudio Gubitosi, continua a
promuovere e far conoscere il cinema per ragazzi, elevandolo dalla posizione
marginale che occupava al tempo ai ranghi più consoni di un “genere” di grande
qualità e capacità di penetrazione del mercato. Evento collaterale al Festival
è l’importante mostra d’arte contemporanea “ArtForever Young” a cura di
Salvatore Colantuoni nel complesso monumentale San Francesco di Giffoni Valle
Piana (Salerno, in esposizione fino al 28 luglio). Una mostra che, oltre ad
essere fedele al tema prescelto per l’intera rassegna, trova ispirazione nel
brano “Forever Young” cantato dagli Alphaville, in cui si dice: Youth’s like
diamonds in the sun and diamonds are forever”. Tra i diciotto artisti
partecipanti spicca il nome dell’aquilano Stefano Ianni, pittore abruzzese già
noto per la sua particolare ricerca, nonchèdocente di pittura all’Accademia di
Belle Arti dell’Aquila. Nelle sue parole la sua ultima emozione e la personale
visione del fare arte.
- Cosa significa per
lei partecipare alla mostra d’arte contemporanea “ArtForeverYoung”, evento collaterale
al noto Festival Cinematografico “Giffoni”?
«È la quarta edizione a cui
partecipo. Le prime tre sono state: “IMAGO AMORIS”, “LINK” e “HAPPY ART”.
Partecipare al “GiffoniFilmFestival” ha un valore molto profondo, perché significa contribuire, con la propria
opera, a dare forma al tema che l’organizzazione del Festival ha deciso di
sviluppare per la specifica edizione. Il complesso monumentale di San
Francesco, luogo in cui è stata allestita la mostra di arte contemporanea, è
sicuramente una location d’eccezione,
uno spazio suggestivo che fornisce una collocazione ad hoc alle opere che non riguardano l’ambito strettamente
cinematografico o televisivo, ma di certo ne condividono la tematica. I ragazzi
che partecipano al GFF sono invitati ad esprimere un giudizio sui lavori
esposti, parere che poi decreterà, insieme a quello on line, il vincitore di questa sezione della manifestazione. Un
evento a tutto tondo, grazie anche ai laboratori didattici al cui centro si
pone il confronto tra gli artisti e i ragazzi».
- “Art Forever Young”
è il tema su cui è stato chiamato a riflettere e quindi a creare l’opera
esposta. Mi racconti.
«Premetto che le mostre “a tema”
sono sempre più impegnative rispetto alle normali manifestazioni di arte
contemporanea, in cui i curatori invitano artisti per interagire con gli spazi
espositivi, attraverso opere che non si discostino assolutamente dalla propria
poetica. Anzi, in molte occasioni viene data carta bianca e, dove possibile, si
preferisce realizzare opere site specific
per esaltare al massimo il potenziale dell’espressività del singolo e
valorizzare il contesto espositivo.
Il mio è un lavoro di ricerca
prevalentemente legato alla trasformazione dei materiali. Ciò rientra nella
magia della pittura che ha permesso da sempre di dar vita a capolavori
attraverso l’uso di alchimie cromatiche su superfici bidimensionali. Ma il
Novecento ci ha insegnato che esistono tante definizioni di pittura e diverse
dimensioni e contestualizzazioni dell’opera, che concorrono a dimensioni
poetiche atte ad esprimere una realtà in continua evoluzione. Nonostante i vari
“ismi” e nonostante le diverse
esperienze di tutto il XX secolo, la pittura ritorna e prepotentemente ricorda
la sua storia e la sua primaria posizione nella graduatoria dell’espressività.
Il lavoro che ho realizzato è proprio un’esaltazione della pittura come
elemento primario, quasi magmatico della creazione. In una forma ovale si
dispongono varie sovrapposizioni cromatiche atte a formare i piani ed i colori
di un paesaggio marino, dai gialli più forti fino al celeste che sfuma in verde
acqua. Si tratta di materie morbide, della consistenza della spugna che,
adeguatamente lavorate, permettono anche un approccio tattile. Su questa
superficie ho collocato una doppia fila di scritte con la dicitura del titolo
della mostra: “Forever Young”. Il grigio delle lettere interagisce fortemente
con il fondo. Mi tornano in mente le parole di Picasso e Braque quando
riflettevano, nel periodo del cubismo sintetico, sul valore delle lettere
riportate con gli stencil sulla base
pittorica. Un modo particolare di interazione tra la parola e la pittura...»
- “L’Arte sempre
giovane”: questo sembra essere l’auspicio che la mostra curata da Salvatore
Colantuoni rivolge agli artisti e al pubblico. Come si collega questo tema con
la caducità della società e forse anche dell’arte di oggi.
«Quello di quest’anno è un tema
quanto mai attuale. L’Arte ha da sempre attraversato nel corso dei secoli
avvenimenti che, socialmente parlando, hanno trasformato, ridefinito e a volte
distrutto intere generazioni; nonostante tutto però l’arte è rimasta immutata
testimone di ogni fase evolutiva della civiltà. Oggi non è diverso. Nell’epoca
della globalizzazione si può ancora riflettere sulla giovinezza dell’arte e su quanto sia importante un pubblico
altrettanto giovane, che se ne nutra e cresca con essa».
- Lei crede nell’arte come strumento di comunicazione che possa, nelle
sue varie manifestazioni (pittura, scultura, installazioni, fotografia),
interpretare il presente, renderlo rintracciabile tra le pieghe del tempo e,
dunque, renderlo eterno?
«Certamente sì. L’Arte può e deve
fare ancora questo. Sia per chi si esprime in modo soggettivo sia per chi lo fa
in modo oggettivo. Voglio dire che ora è possibile stabilire parametri di lettura
ugualmente validi sia per chi l’opera la presenta, sia per chi, attraverso
l’opera, rappresenta la propria visione della realtà».
- Lei è anche docente
di pittura all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Cosa direbbe ai suoi
studenti, se dovesse definire il concetto del “rendere vero” un soggetto in
ambito pittorico?
«Una volta Picasso fu avvicinato
da un signore che gli mostrò una fotografia di sua moglie: “Guardi
quest’immagine! Questa è realistica, non le sue cose”. Pablo prese la foto, la
guardò con attenzione, poi si rivolse a quell’uomo e disse: “Sua moglie è alta
dieci centimetri ed è in bianco e nero?” ».
- E cos’è che,
invece, può definirsi “forever young” in pittura?
«Il ritratto di Dorian Gray…però al contrario».
- Quale elemento accomuna
lei agli altri 17 partecipanti alla mostra?
«Sicuramente il curatore,
Salvatore Colantuoni. Egli mi segue da molti anni con attenzione e passione e
abbiamo condiviso numerose esperienze insieme, sin da quando era in “Alitalia”
con il programma “Alitalia nell’arte”».
- Lo scorso inverno
abbiamo avuto modo di ammirare le sue opere alla mostra “Still Lives and
Memories in Fur”, realizzata al Media Museum di Pescara. Il prossimo progetto?
«Per ora sto portando avanti questa nuova ricerca per
realizzare, a livello espositivo, qualcosa di molto impegnativo nel 2014.
Lascio un po’ di mistero, ma vi terrò informati al momento giusto».
Dal catalogo della mostra RoccArt - Segno Colore Materia
Silvia Cicoria
Montesilvano colle (PE), 6 agosto 2013
Stefano Ianni, artista aquilano oggi residente a Montesilvano, conosciuto ed apprezzato da molti come artista e docente di pittura, è un artista ironico e concettuale. Si presenta in mostra con un'opera capolavoro "Prede" realizzata con pelliccia dipinta e cornice scolpita. All'artista è sempre stato caro il tema della cornice, sfruttato come luogo di elaborazioni giocose ed imprevedibili, e come manifestazione artistica a pieno titolo. Nell' opera "Prede" una pelliccia maculata viene dipinta di azzurro e sono disegnati dei pesci di color bianco, nature morte, appunto, costruzione del reale nel vissuto della costa abruzzese. L'opera di Ianni secondo Carlo Fabrizio Carli "Si attiva qui l'emersione delle memorie esistenziali; il mare, la spiaggia, la riviera adriatica. Una vera e propria recherche; basti pensare al vago e lirico riflettersi nella marina delle case illuminate nottetempo, affidato al registro della descrizione pittorica; o ancora alle guizzanti composizioni di pesci: e qui l'artista può pure allacciare i contatti con una tematica rituale della natura morta. Ma l'osservatore vi scorgerà anche la traccia di più recenti esperienze di vita".
Fluctus
Pescara, Aurum "Sale Cascella" 17 Luglio 2014
Ricominciare dal bianco.
Il ciclo delle prede nel Fluctus di Stefano Ianni.
di Alessandra Angelucci
È dal bianco che vorrei cominciare. Da quel colore in cui germogliano infinite possibilità, persino la potenza del negativo e il tormento dell’assenza. Un’epifania incoronata di luce in cui un ricordo - forse un presagio - spicca dal nulla e vibra: qualcosa cede, rimbalza tra i flutti, ti guarda e poi tace. Ha smesso di lottare fra i rivoli spenti di una rugiada di mare. Una lacri- ma asciutta resta fra le mani, sa di sale: parla di noi e di pescatori lontani. Il bianco resiste, come l’eterno in cui la vita è data oppure ne- gata. Il bianco, come quel colore che l’artista aquilano Stefano Ianni sceglie - e volutamente fa proprio - per congelare le tracce di una na- tura che da alcuni anni si offre ai suoi occhi: la parola è offerta dalle onde, la pupilla è aperta, la palpebra è socchiusa. Chi osserva le opere ne coglie subito la traccia narrativa: la luce dei sup-
di Alessandra Angelucci
È dal bianco che vorrei cominciare. Da quel colore in cui germogliano infinite possibilità, persino la potenza del negativo e il tormento dell’assenza. Un’epifania incoronata di luce in cui un ricordo - forse un presagio - spicca dal nulla e vibra: qualcosa cede, rimbalza tra i flutti, ti guarda e poi tace. Ha smesso di lottare fra i rivoli spenti di una rugiada di mare. Una lacri- ma asciutta resta fra le mani, sa di sale: parla di noi e di pescatori lontani. Il bianco resiste, come l’eterno in cui la vita è data oppure ne- gata. Il bianco, come quel colore che l’artista aquilano Stefano Ianni sceglie - e volutamente fa proprio - per congelare le tracce di una na- tura che da alcuni anni si offre ai suoi occhi: la parola è offerta dalle onde, la pupilla è aperta, la palpebra è socchiusa. Chi osserva le opere ne coglie subito la traccia narrativa: la luce dei sup-
porti in pelliccia accoglie le nature morte che
nella spuma marina hanno trovato dapprima la
nascita e poi la fine. Del resto, aveva ragione
Philipp Otto Runge, quando avvertiva che «vita
e morte, nascita e sepolcro, sono una cosa sola
nella profondità chiara». Ed è da questa «pro-
fondità chiara», da una «totalità bianca» - di-
rebbe altrimenti Jabés - che ha vita “Fluctus”,
l’ultimo progetto artistico di Stefano Ianni, che
nelle sale “Cascella” dell’Aurum di Pescara pro-
pone al pubblico la sua recente produzione.
“Fluctus”, come anticamente i latini chiama-
vano l’onda del mare tutelata dal dio Nettuno:
quel ricamo infinito fatto di correnti e flutti, di
spinte sotterranee temute dall’uomo, a cui l’uo-
mo stesso però ha sempre guardato per affidare
alla carta o alla tela una parola vergine, una pau-
ra sospesa, l’assedio di una nostalgia. Un solilo-
quio bianco e neutro, come nelle opere del ciclo
“Prede”, in cui Stefano Ianni dipinge facendo
vivere su pelliccia sintetica il movimento impla-
cabile dello scenario naturale a cui egli guarda
con occhio indagatore. Il mondo marino così
come si cristallizza nei suoi ricordi e fra gli spazi
diafani cuciti addosso ai dialoghi intercorsi coi
pescatori.
La memoria ha bisogno di trovare respiro e
collocazione salda nello spazio in cui rivive: il
supporto in pelliccia invita all’esperienza tattile,
a toccare con mano quell’immagine che - altri-
menti - sembrerebbe perdersi. Ma la memoria
fluttua, ondeggia fra la certezza di un segno
marcato e la forma che scava significanti nell’a-
ria. Ecco perché, in alcuni casi, l’opera è avvolta
da una pellicola di nylon trasparente, quasi a
voler sigillare ciò che alla mente riaffiora, e la-
sciarlo lì, resistente ad ogni impercettibile sospi-
ro fra un battito di ciglia e un altro.
«Un sottovuoto», dice l’artista, in cui il ricordo resiste agli interventi del tempo e si conserva in- tegro.
Potremmo definirli doni del mare quelli che Ianni dipinge con riferimenti estetici diversi: interpretati in accezione molto personale guar- dano alle poetiche dell’oggetto, a partire da Ar- man e dai procedimenti operativi del Nouveau Réalisme. Basti pensare alle «accumulazioni» di sassi, pietre in resina, biglie, perline, presenti nel ciclo “Perimetra” degli anni 2000 - 2002, in cui la materia, prelevata dai luoghi della vita e della natura, vestiva lo spazio deputato alla gestualità pittorica, conoscendo una nuova collocazione
«Un sottovuoto», dice l’artista, in cui il ricordo resiste agli interventi del tempo e si conserva in- tegro.
Potremmo definirli doni del mare quelli che Ianni dipinge con riferimenti estetici diversi: interpretati in accezione molto personale guar- dano alle poetiche dell’oggetto, a partire da Ar- man e dai procedimenti operativi del Nouveau Réalisme. Basti pensare alle «accumulazioni» di sassi, pietre in resina, biglie, perline, presenti nel ciclo “Perimetra” degli anni 2000 - 2002, in cui la materia, prelevata dai luoghi della vita e della natura, vestiva lo spazio deputato alla gestualità pittorica, conoscendo una nuova collocazione
lungo i perimetri delle cornici.
Instancabile nella ricerca sin da quando era bambino, Ianni rimane affascinato anche dall’uso di tessuti diversi e da una cromia più cupa e misteriosa - antitetica al bianco - che tro- va nel colore nero la massima espressione. La se- rie delle nature morte si delinea, in questo caso, su raffinati tessuti damascati, in cui gli animali marini spiccano su trame nere e brillanti, crean- do un gioco dicotomico fra il tratto bianco e il supporto corvino, anch’esso sigillato da nylon trasparente. La curiosità lo porta a sperimentare e a rivisitare anche i linguaggi del secondo ‘900, accostandosi, in alcuni casi, ad una pittura che si fa segnica: lettere dell’alfabeto si accostano alle silhouettes dei pesci, descrivendo un alfa- beto che non trova significato nel tradizionale sistema fonetico, ma che afferisce alla più pro- fonda sfera della conoscenza del sé.
I “Notturni”, invece, sono narrazioni poetiche su cui si scrive la struttura bipolare luce-buio: un gioco di anti luce - potremmo dire - che na- sce su distese nere di pelliccia in cui i bagliori, in lontananza, suggeriscono storie infinite.
La voce tace, il pensiero vive e si perde fra quegli scogli che il tratto decide di non svelare, di non
Instancabile nella ricerca sin da quando era bambino, Ianni rimane affascinato anche dall’uso di tessuti diversi e da una cromia più cupa e misteriosa - antitetica al bianco - che tro- va nel colore nero la massima espressione. La se- rie delle nature morte si delinea, in questo caso, su raffinati tessuti damascati, in cui gli animali marini spiccano su trame nere e brillanti, crean- do un gioco dicotomico fra il tratto bianco e il supporto corvino, anch’esso sigillato da nylon trasparente. La curiosità lo porta a sperimentare e a rivisitare anche i linguaggi del secondo ‘900, accostandosi, in alcuni casi, ad una pittura che si fa segnica: lettere dell’alfabeto si accostano alle silhouettes dei pesci, descrivendo un alfa- beto che non trova significato nel tradizionale sistema fonetico, ma che afferisce alla più pro- fonda sfera della conoscenza del sé.
I “Notturni”, invece, sono narrazioni poetiche su cui si scrive la struttura bipolare luce-buio: un gioco di anti luce - potremmo dire - che na- sce su distese nere di pelliccia in cui i bagliori, in lontananza, suggeriscono storie infinite.
La voce tace, il pensiero vive e si perde fra quegli scogli che il tratto decide di non svelare, di non
descrivere, perché di notte tutto è e allo stes-
so tempo non è. Quel che si osserva sarà altro,
quando il sole sarà tornato a sorgere lungo la li-
nea dell’orizzonte: ciò che prima appariva come
deserto tornerà a pullulare in modo frenetico.
Di notte c’è una natura che si muove e fluttua
a dispetto di ogni più temibile logica umana e
che sopravvive a qualunque pensiero demolito-
re. Nei “Notturni” di Ianni sembra poter rico-
noscere gli echi di Van Gogh, quando affermava
che «spesso la notte è molto più viva e colorata
del giorno». Ed è proprio così: la vita si accen-
de nei notturni di Ianni, come nell’opera in cui
l’artista riporta l’espressione “forever young”,
in ricordo della composizione presentata alla
quarantatreesima edizione del “Giffoni Film
Festival” 2013 e che trovava ispirazione in un
brano degli Alphaville del 1984: «Youth’s like
diamonds in the sun and diamonds are forever».
La mostra “Fluctus” guarda con prepotenza al
mare, ma trova anche luogo di riflessione nella
sezione dedicata ai paesaggi: opere che pongo-
no al centro colori e profili montani a cui Ianni
ha guardato per anni e in cui, probabilmente
per molto tempo, ha trovato la sua principale
fonte di ispirazione. Una produzione artistica
che evoca il ciclo “Materiali del sogno” degli
anni Novanta e che presenta nella lavorazione
dei “perimetri” una peculiarità ideativa e creati-
va, oggi rivisitata in chiave diversa. Nel caso di
Stefano Ianni, infatti, si supera il concetto tra-
dizionalmente inteso di cornice quale elemento
decorativo che all’opera si accompagna per defi-
nire e circoscrivere lo spazio in cui l’estro si con-
cretizza. Nei paesaggi di Ianni la cornice non è
più ciò che separa il “dentro” e il “fuori”, non è
più strumento anonimo che si frappone fra la
grammatica dell’opera e la parete in cui l’ope-
ra stessa si colloca. La “cornice” diventa cam-
po di sperimentazione, così come accadde per
le avanguardie storiche: futurismo, dadaismo,
surrealismo. Essa diventa oggetto da intagliare,
elaborare con sapienza artigianale e far rivivere
artisticamente insieme all’opera stessa. Il colore,
che l’artista dispone con tecnica mista su carta,
deborda e dialoga direttamente con i perimetri
in legno. La “cornice” non divide, ma unisce,
diventa terreno fertile in cui muoiono il concet-
to di bordo e quella netta dialettica tra pieno e
vuoto. Una partitura privilegiata su cui scrivere
le infinite possibilità che, sulla scia di una ap-
passionata ricerca materica, prendono vita fra
il quadro vero e proprio - inteso come insieme
di segni e pigmenti pittorici - e la fisicità di un
mondo esterno che vive al di là dell’opera. Così
come accade in una soluzione altra e più speri-
mentale, ben rappresentata da “Acquario”: il pe-
rimetro non è più costituito da legno scolpito,
ma da polimeri dalle vivaci cromie, che l’artista
modella al fine di raggiungere una visione bidi-
mensionale e quasi carnale al tatto.
Infine, al posto giusto, in quel luogo in cui si liberano i ricordi più veri, quelli che mai la di- menticanza potrebbe vincere, si colloca solitaria l’opera “Mostri gentili”: l’artista la realizza ispi- randosi all’immagine di copertina, da lui stesso creata, per l’omonimo libro di poesie (Noubs edizioni, 2011), scritto da Anna Ventura. Su uno sfondo giallo ocra, due piccole figure orien- tali sorridono a chi osserva. L’occhio si pone in ascolto e tutto, in “Fluctus”, sembra rivivere in quei versi che l’artista ha letto e interpretato: «Un pescatore e suo figlio bambino / stavano sulla barca, / quando videro emergere dal mare un busto di donna... In quella notte sul mare, una magia / aveva fermato gli orologi: il padre / si era confuso nel tempo, il figlio / era cresciuto assai».
Infine, al posto giusto, in quel luogo in cui si liberano i ricordi più veri, quelli che mai la di- menticanza potrebbe vincere, si colloca solitaria l’opera “Mostri gentili”: l’artista la realizza ispi- randosi all’immagine di copertina, da lui stesso creata, per l’omonimo libro di poesie (Noubs edizioni, 2011), scritto da Anna Ventura. Su uno sfondo giallo ocra, due piccole figure orien- tali sorridono a chi osserva. L’occhio si pone in ascolto e tutto, in “Fluctus”, sembra rivivere in quei versi che l’artista ha letto e interpretato: «Un pescatore e suo figlio bambino / stavano sulla barca, / quando videro emergere dal mare un busto di donna... In quella notte sul mare, una magia / aveva fermato gli orologi: il padre / si era confuso nel tempo, il figlio / era cresciuto assai».
Un tuffo nel mare. Un elemento in continuo movimento e simbolo del divenire. Tradotto in pittura da una decisa sperimentazione di nuovi materiali. Con un occhio alla tradizione
Ha inaugurato il 17 luglio scorso la mostra di Stefano Ianni nelle sale Cascella dell’Aurum a Pescara. Il titolo "Fluctus” rimanda al modo con cui «i latini chiamavano l’onda del mare tutelata dal dio Nettuno», come scrive in catalogo Alessandra Angelucci, curatrice della mostra.
E Fluctus - ultima ricerca artistica di Stefano Ianni - ha come temi principali proprio il mare e le sue creature. «Il termine Fluctus - spiega l’artista - ha molteplici significati. Quello relativo al flutto marino e quindi al suo habitat naturale, ma anche quello che rimanda ad un continuo divenire in cui la realtà è sempre uguale e al contempo sempre diversa».
Un modo di guardare questa realtà dove il colore predominante è il bianco inteso come omaggio a quegli aspetti fondamentali della tradizione. Dunque l’artigianalità del fare artistico che in Stefano Ianni prende le mosse dai supporti, dai loro formati, dalle loro dimensioni, dalle tecniche, in continuo divenire. La superficie bianca, nella sua assoluta luminosità, è un chiaro riferimento al fondo gesso della tela.
Una tradizione, quella a cui rimanda Ianni, che però non pone limiti alla sperimentazione. Per questo spesso i fondi usati sono materiali diversi: "sensibili”, esaltano sia la densità che la luminosità delle superfici, evidenziando l’aspetto iconografico della sua ricerca. Compare così la pelliccia che diventa leit motiv nelle opere dell’artista, dal suo primo rimettersi in gioco dopo il sisma del 6 aprile 2009 che all’Aquila, sua città di origine, ha distrutto anche il suo studio. Da quella data Stefano Ianni vive a Montesilvano, sul mare. Sarà per questo che, a cinque anni da quell’evento, il suo immaginario è oggi popolato da un mondo marino fatto di creature idealizzate che sono la logica evoluzione del ciclo immediatamente precedente a Fluctus: "Still lives and memories in fur” in cui rappresentava nature morte, costituite da pesci, e ricordi in pelliccia dei notturni della costa adriatica.
Ma il mondo animale ha sempre affascinato il nostro, fin dagli inizi negli anni Ottanta, quando fa il suo esordio con opere in cui il tema centrale era "Cavallinità e labirinti”. Da quei lavori, presentati nelle prime mostre da Enrico Crispolti, in questi tre decenni Stefano Ianni ha sviluppato molti cicli di ricerca in cui l’aspetto dell’animalità è stato spesso ripreso. Ma la mostra allestita all’Aurum di Pescara apre uno squarcio anche sulla terra d’origine di Ianni, fatta di montagne, vette aguzze e sassose. Fluctus presenta infatti anche un nucleo di opere che propone paesaggi montani, così da ribadire il legame con la propria terra: L’Aquila.
Presente anche il rimando ad alcuni schemi del ciclo "I materiali del sogno” del 1993, in cui le cornici scolpite e decorate si fanno opera d’arte e in cui gli skylines della propria terra tornano di prepotenza a ribadire l’imprinting che ogni essere umano si porta dentro anche cambiando città e modo di vivere, quando la realtà diventa per forza di cose un continuo divenire.
Angela Ciano
pubblicato venerdì 1 agosto 2014, su exibart.com
Testi in catalogo della mostra "Mar giallo" presso la Galleria Russo Art ad Istanbul, dal 27 aprile al 27 maggio 2017
Testi in catalogo della mostra "Mar giallo" presso la Galleria Russo Art ad Istanbul, dal 27 aprile al 27 maggio 2017
L’INFINITO MARE GIALLO DI STEFANO IANNI
di Angela Ciano
E’ un infinita distesa di colore. Intenso, carico, purissimo. Ti abbaglia e allo stesso tempo ti invita a guardare, all’azione, alla gioia e al gioco. La nuova ricerca estetica di Stefano Ianni ha la capacità di attirare immediatamente l’ attenzione e di portare la mente e il pensiero dentro un mondo saturo di giallo. Un colore che è, secondo la “Teoria dei colori” di Johannes Itten, “ ….la più alta sublimazione della materia ad opera della luce, irradia luminosità diffusa, priva di trasparenza, lieve come pura vibrazione”.
Ed è appunto “Mar Giallo” il titolo del nuovo lavoro che Stefano Ianni ha concepito come tanti moduli interscambiabili ed essenziali l’uno all’altro perché insieme creano un unicum visivo di grandissimo impatto. Nasce così, questo ciclo che, ancora una volta, utilizza i materiali più disparati: tessuto di pile, tavola, gomma piuma e, naturalmente colori e pennelli. A ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, l’importanza e l’imprescindibilità del fatto artistico. Il pensiero creatore è legato a doppio filo all manualità del fare; la capacità di realizzare l’opera pensata è essa stessa fatto artistico.
Inizia allora un vero e proprio viaggio di scoperta guidati da un’onda gialla che ti fa imbattere in indefinite creature marine che, come tutta la composizione, hanno il tratto denso e potente che semplifica e cancella i particolari e né evidenzia la forza e la capacità di attrazione. Sono “Mostri Gentili” che guidano lo spettatore a non perdere la rotta dell’esperienza visiva e, al tempo stesso, sono elementi che ci riportano alla realtà, al nostro ambiente, che sia mare, terra o cielo. Sono queste creature a prenderti per mano e a narrarti la storia di Mar Giallo, a raccontarti l’emozione di un luogo ancestrale fatto di mistero, dominato dalla bellezza e dalla purezza di una forza vitale e positiva. “Tutti questi lavori recenti, legati al cambiamento radicale della mia vita dopo il terremoto che ha distrutto la mia città, tendenzialmente si offrono al pubblico. Quando ho iniziato ad utilizzare pelliccia sintetica, quando non è messa sottovuoto, volevo che le mie opere fossero toccate, era un modo per far interagire il pubblico con il mio lavoro. Adesso l’elemento dirompente è il giallo. Questo tipo di giallo molto forte ed intenso, molto saturo e carico che suggerisce il massimo della positività. E’ un colore molto vicino alla spiritualità del bianco, allo stesso tempo però ha una grande carica di energia fisica, residuo della luce solare. Insieme a questa forza vitale c’è il tema del mare che deriva sia dalle dimensioni del lavoro, perché ho realizzato oltre cinquanta pannelli, sia dagli elementi visivi che dialogano con il giallo. Anche questi sono resti delle mie ricerche precedenti sulla natura morta. Residui di una realtà che fanno parte della mia memoria e che possono riaffiorare in ogni momento a volte più definiti, a volte più essenziali o indistinti. Sono sempre però ritorni che diventano elementi narrativi”. Solo che ora questi elementi hanno una forza maggiore e sono come sottolineati dal tratto più deciso che ne delinea i contorni. “Sono residui meno veri ma più forti perché vanno a comporre un unico lavoro di 52 elementi ed essi, necessariamente, hanno bisogno di un segno più marcato per prevalere o meglio per non essere soffocati dal ritmo geometrico di una composizione così grande”.
Un flusso di energia vitale che va e viene proprio come il flutto del mare, declinato nel colore che più di ogni altro sprigiona vitalità. Ed è questa idea del ritorno continuo ad accompagnare da sempre il lavoro di Ianni e che deriva dal precedente ciclo “Fluctus”, per i latini l’onda marina tutelata dal dio Nettuno, ma che si può rintracciare in tutta la sua ricerca fin dagli esordi negli anni ottanta. A distanza di trent’anni e di fronte a questo Mare Giallo l’impatto di novità è immediato. E’ la prima importante impressione. Quella che ti abbaglia e ti impone di guardare oltre. Ed è questo andare oltre che porta a scoprire cosa c’è realmente dentro tutto questo Mare di Giallo. “Questo lavoro è la diretta conseguenza del ciclo precedente sul quale già intervenivo con supporti precolorati, usando in quel caso pellicce sintetiche di vari colori. Da questa ricerca sui materiali sono emerse alcune peculiarità che ho voluto approfondire. In un’opera quasi completamente gialla intitolata Mostri Gentili, che illustra la raccolta di poesie omonima di mia madre Anna Ventura, io ritrovo i germogli che mi hanno portato a questo nuovo lavoro insieme anche ad una serie di opere dove la materia è messa sottovuoto e dove su tutto, domina il giallo. Da qui ho iniziato a sviluppare una ricerca fatta di tanti pannelli di questo colore che, insieme, danno grandi possibilità di composizione, ma anche il senso ondivago del flusso del mare. Ribadendo così l’andare e venire del flutto che è poi il senso di ogni mia ricerca che torna spesso su se stessa. In questo caso è stata un’ondata così grande da dare vita ad un vero e proprio mare, giallo”.
Come per il maestro Mark Rothko, che ha fatto del colore la sublimazione spirituale del suo fare artistico, anche per Stefano Ianni l’opera è un universo che esiste in funzione dell’osservatore, è pensata perché esso ne faccia parte e possa compiervi un’avventura, così l’ esperienza dell’artista è tesa a predisporre tale avventura. Lo spettatore – fruitore è chiamato ad essere in qualche misura comprimario, non della redazione dell’opera, ma di un comune progetto spirituale che coniuga la narrazione con la visione.
E in Mar Giallo questo progetto ha il sapore del gioco, dell’allegria che discende dall’invito che ogni pannello o modulo fa allo spettatore chiamato a sperimentare con il tatto e finanche, se si potesse, a scomporre e ricomporre i tanti tasselli secondo la propria sensibilità, scombinando così i piani dell’artista. Per perdersi nello stesso mare.
Ed è qui che sta il bello.
Mare Giallo
“Mare giallo” è il titolo della serie di opere che Stefano Ianni sta producendo da due anni: un titolo impegnativo, che richiede riflessione sia sui singoli termini, che sulla loro relazione.
Mare
Il mare evoca il pensiero e il pensiero evoca il mare: insieme condividono la stessa rotta, sono la bussola che indica il percorso ai natanti per iniziare la “navigazione”.
Il pensiero è nato ai bordi dell'acqua, nelle città del Mare Nostrum.
Talete sosteneva che l'elemento liquido costituisce la sorgente del mondo;
Kant, che l'obbiettività è come un atollo circondato da un esteso e impetuoso mare,
Nietzsche sottolinea, del mare, il silenzio sospeso;
Foucault, narra la perdita di senso e significato del mare;
Si potrebbe (forse) affermare che il mare stimola il pensiero, come il cervello è stimolato dal Liquor in cui è immerso.
Mare, mare
La sola pronuncia del sostantivo “mare” evoca, in sé, sensazioni e caratteristiche diametralmente opposte: calma e tempesta; superficie e profondità; linea d'orizzonte e infinito.
Herman Melville, si spinge oltre: descrive il mare come un'infinita prateria.
Giallo
Anche il simbolismo del giallo si collega a sensazioni ambivalenti; da un lato il giallo caldo, oro che si potrebbe definire il “giallo della vita”; dall'altro il giallo stridulo, freddo, che si può intendere come giallo della malattia e della morte: il transito continuo tra due estremi crea ambiguità e produce immaginazione.
...ancora giallo
Il giallo è grammaticalmente, nel titolo scelto da Ianni, un aggettivo, ma assume, per la sua forza insita, il ruolo di un sostantivo: in questa accezione il giallo, semplicemente, è.
Parallelepipedi + Polartec 200/300
“La colza è tutta fiorita
il globo solare a levante
e la luna a ponente”
questo Haiku giapponese evoca le categorie di giallo presenti nel “mare” di Ianni, un giallo caldo, che tuttavia viene raffreddato dalla “pelle” di nylon che lo ricopre e che lo rende oleoso, atto a conservare, sottovuoto, i pesci (o la loro forma) che lo popolano. “Ombre” e “presenze” dipinte su tessuto di pelo sintetico “Polartec 200/300”, montato su tavole 30x40 e 30x50 a formare tanti parallelepipedi che compongono, come nella meccanica quantistica, la “materia”. Mattoncini che possono coprire, idealmente, spazi infiniti, che, come nel “gatto di Schrödinger vivono il paradosso della contemporaneità degli eventi, sono al tempo stesso relativistici, in quanto si adeguano allo spazio che li ospita, e assoluti nella ripetizione automatica e senza ripensamenti del soggetto.
Pesci
I pesci nello scorrere filmico della serie, subiscono nel tempo una mutazione emotiva, passano dall'espressione viscerale e materica, alla sospensione metafisica: gli occhi, ben visibili, sono tondi e la bocca è aperta, senza respiro; “la pelle”, differentemente dalla prima parte del percorso, non lascia intravedere la materia “macerata dall'olio”.
“Grande giallo”
L'ultima opera di Stefano Ianni è il “Grande giallo”. Composta da 52 pannelli, rappresenta concettualmente una tappa fondamentale del suo percorso; si sviluppa su una superficie molto ampia (200X360 cm) in cui immerge completamente l'osservatore. L'istallazione verticale della composizione contrasta con il bisogno rassicurante di un “mare orizzontale “ e rafforza il senso di spaesamento dello spettatore.
Marco Brandizzi
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